Abbiamo intervistato Marco Manetti in occasione della retrospettiva organizzata dal Festival di Rotterdam. Per la prima volta, un festival internazionale generalista organizza una retrospettiva dell’opera dei Manetti Bros., da Torino Boys (1997) alla recente trilogia di Diabolik, con il terzo capitolo presentato in anteprima internazionale durante la kermesse olandese. Ne abbiamo parlato al telefono con Marco Manetti.
Qual è stata la vostra reazione quando avete saputo dell’omaggio organizzato da Rotterdam?
È una grande emozione, un onore. Forse anche una grande opportunità per noi, far vedere i nostri film nel contesto della retrospettiva anziché singolarmente, e rendere la nostra filmografia più conosciuta fuori dall’Italia. È una specie di battesimo del fuoco per trasformarci da registi italiani in registi europei. Poi, non è che io sia andato a controllare tutta la storia dei nostri colleghi, ma non credo che siano molti i registi italiani, anche più importanti, ad avere avuto una retrospettiva simile in un festival prestigioso come questo.
E facendoli vedere così forse emerge una sorta di dialogo tra i film, andando da Zora la vampira ai tre Diabolik?
Capisco cosa vuole dire, ma non sono del tutto d’accordo. Per i due titoli citati c’è la comunanza apparente della materia fumettistica, ma nel caso di Zora la vampira è un equivoco – creato da noi, lo ammetto – perché abbiamo usato solo il titolo. Il film in realtà è una rilettura libera di Dracula.
Quali sono i film di cui è più curioso di conoscere la reazione del pubblico di Rotterdam?
Uno è Song’e Napule, perché dei nostri film è forse quello più “italiano”, di non facile fruizione all’estero. E poi la trilogia di Diabolik, perché proiettandoli non in un unico blocco ma quasi forse il pubblico noterà il filo conduttore fra i tre film, che in Italia sono usciti in anni separati ma formano una storia completa. E il terzo, che ha incassato meno degli altri due in Italia, ha però avuto l’indice di gradimento più alto, e spero che abbia lo stesso effetto sul pubblico olandese.
In passato ha parlato di come in Italia tutti vi chiedano del rapporto con il fumetto, mentre all’estero parlano del film di Mario Bava.
Sì, è vero, abbiamo scoperto che quello di Bava, che in Italia è semisconosciuto, a livello internazionale è piuttosto famoso, al punto che c’è chi pensava che il nostro fosse un remake, cosa che non è. Abbiamo fatto un adattamento del fumetto.
Un po’ lo stesso rapporto che c’è tra il Casino Royale con Daniel Craig e quello del 1967?
In un certo senso sì, perché quello con Craig è più fedele al romanzo di Fleming mentre l’altro è un po’ una commedia, che con James Bond non c’entra molto. Tra l’altro il Diabolik di Bava si rifà molto ai Bond di quegli anni.
Qual è un film vostro che pensate possa essere riscoperto grazie a questa retrospettiva?
Siamo molto legati a Piano 17, che non è il nostro film preferito ma quello più amato, c’è una piccola differenza. Ci abbiamo tutti messo il cuore e l’anima, lavorando praticamente gratis, perché 70.000 euro non è nemmeno il budget per un cortometraggio. Ogni volta che lo proiettano sono molto felice, e mostrarlo di nuovo al pubblico, dopo che ci ha già dato diverse soddisfazioni internazionali, è interessante dal momento che gli spettatori già conoscono il nostro percorso successivo.
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