Ammette con un certo orgoglio di aver girato un film con attori “veri”, “senza personaggi di spettacolo, starlette e veline”. Manuel Giliberti presenta così Lettere dalla Sicilia, interpretato da Piera Degli Esposti (“non più una semplice amica, ormai ci conosciamo da tanti anni”) e Andrea Giordana.
Il film, ambientato nella Sicilia del 1843, racconta la vicenda di un gruppo di viaggiatori inglesi sbarcato sull’isola e diretto a Segesta (l’antica Egesta). Il gruppo è formato da Sir e Lady Warwick, una coppia di aristocratici vittoriani, accompagnati dalle figlie Victoria e Penelope e dal fidanzato di Victoria, il giovane Morgan. I genitori, conformisti e ottusi, certi della propria dimensione sociale e del proprio ruolo hanno seguito la figlia maggiore Victoria in questo viaggio che giudicano un capriccio curioso ma alla fine inoffensivo. Victoria, forte e decisa, convinta della sua superiorità intellettuale nei confronti dei familiari e del fidanzato, ha con Morgan un rapporto di condiscendenza e sufficienza, che Morgan subisce con rassegnazione. L’incontro con gli antichi luoghi siciliani e le loro suggestioni metteranno in gioco il rapporto tra i due spingendo la vicenda, che si svolge interamente nell’arco di ventiquattro ore, ad un epilogo che si rivelerà drammatico ed inatteso. Il film è stato presentato al Saturno Film Festival, una rassegna che scandaglia i rapporti tra cinema e storia, e ora sta per uscire in sala il 23 febbraio.
Qual è stata l’idea di partenza da cui nasce questo film?
Dal mio precedente lavoro, Giovanni Falcone – I giorni della speranza, un racconto sulla violenza. L’idea è quella di usare l’allontanamento temporale e l’ambientazione storica per mostrare una violenza differente, che nasce dal confronto tra due modi di essere: la violenza è racchiusa stavolta nei rigidi schemi dell’educazione vittoriana, che emargina chi si esprime liberamente.
La sceneggiatura si basa su una storia vera o su una leggenda?
Più che su una leggenda, abbiamo lavorato sui racconti di viaggio dell’epoca. La costante di questi racconti è lo sconcerto del viaggiatore una volta giunto in Sicilia, una terra che si presentava sporca e arida anziché la colonia greca che essi si aspettavano. Anche per questo abbiamo cercato delle location inedite, che non fossero le solite vedute da cartolina. Altra fonte di ispirazione è stata la leggenda di Cola Pesce.
Il film ha un impianto molto teatrale, il che tradisce le sue origini: di fatto, la recitazione è volutamente antirealistica.
Sì, è difficile rigettare le proprie origini, qualcosa resta sempre. Nella circostanza, io e lo sceneggiatore Luciano Bottaro abbiamo privilegiato un linguaggio, quello dei personaggi, che fosse rivelatore della loro interiorità, del loro modo di essere.
Può parlarci del percorso produttivo del film?
Abbiamo girato in sei settimane tra la Sicilia e Torino, dove abbiamo ricostruito l’Inghilterra vittoriana. Il budget a disposizione era di un milione e duecentomila euro, obiettivamente pochi per un film in costume. Per fortuna la scenografa è anche antiquaria, così abbiamo potuto utilizzare i suoi arredi. La costumista Beatrice Bordone è invece quella di Nuovo Cinema Paradiso. Sono stati i nostri collaboratori a far sì che le cose andassero per il meglio: penso all’entusiasmo dei giovani attori del cast, e all’apporto insostituibile di Piera Degli Esposti che ha fatto loro da coach.
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