E’ stato l’etnologo e storico delle religioni Ernesto De Martino a far scoprire a Luigi Di Gianni la voglia di dedicarsi al documentario, tanto da realizzare nella sua carriera artistica oltre 40 documentari, di cui 5 in programma nel Forum di Berlino. “I suoi film sono spesso senza parole, quasi senza commento, accompagnati sempre da una musica straziante e stridula che ancora per giorni risuona nell’orecchio” hanno scritto di lui. I suoi documentari – su tematiche magico-religiose in Lucania, Campania, Puglia e Calabria o su questioni sociali in Friuli, Lombardia ed Emilia Romagna – oltre che film antropologici costituiscono una testimonianza dell’orrore esistenziale, una riflessione sulla debolezza e la mortalità dell’uomo.
Di Gianni, classe 1926, origini lucano-campane, diplomatosi nel ’54 in regia al Centro sperimentale di cinematografia sotto la guida di Alessandro Blasetti e Renato May, ne è stato poi docente di regia-cinema documentario dal 1977 al 1997, avendo tra i suoi allievi Gianfranco Pannone e Gianni Zanasi. Attualmente insegna regia presso la Nuct (Nuova università del cinema e della televisione) di Roma e al Dams di Cosenza. Oltre che documentari, Di Gianni ha realizzato sceneggiati televisivi tratti da testi di Beckett, Kafka, Kaiser e un film apocalittico e visionario come Il tempo dell’inizio (’74), oltre ad aver lavorato con Cesare Zavattini per I misteri di Roma.
Come è nata questa sua passione documentaristica?
Un po’ per caso. A metà degli anni ’50 stavo cercando di debuttare con un film di finzione ispirato a un episodio drammatico accaduto ad Ancona, dove un maresciallo della finanza, da tempo alla ricerca di una casa, si era fatto saltare in aria in un cinema affollato. Il progetto rimase sulla carta, ma per fortuna nel ’58 lessi la notizia di una spedizione di Ernesto De Martino in Lucania sulle sopravvivenze delle forme magiche. Lo contattai subito e lui accettò di diventare consulente scientifico del mio primo documentario Magia lucana. Per la produzione mi affidai alla Documento Film, dove lavorava Fulvio Lucisano, con il quale è nata una duratura amicizia.
Con De Martino continuò a lavorare?
Sì, fu consulente per altri miei lavori. Era uno scienziato e nel contempo un brillante scrittore, un uomo di grande cultura dai suggerimenti preziosi. Aveva capito che non mi piace il realismo naturalistico e che mi affascinano i casi estremi. Non mi interessa la realtà come documentazione, il mio è un realismo magico e metaforico. E i miei documentari sono una sintesi e un’alternanza di frontalità e ricostruzione che sfocia nella finzione.
E gli altri 4 documentari ospitati dal Forum che cosa raccontano?
Grazia e numeri (1962) (premiato al Festival del cinema d’autore a Bergamo nel 1963), riguarda il culto a Napoli delle “anime pezzentelle”, cioè le anime di quei poveri i cui resti mortali sono stati abbandonati e che vengono “adottati” da quanti sperano di riceverne favori. Ho cercato di rappresentare le fantasie e le credenze di questi devoti che tanto si occupano dei defunti. Il Messia, girato in Puglia nel 1965, riguarda invece la comunità ebraica di Sannicandro, un paese del foggiano, fondata negli anni ‘30 da un contadino, simbolo delle inquietudini spirituali e dei fermenti religiosi nel Gargano. Il culto delle pietre del ’67 indaga in un paese della Marsica l’usanza dei devoti, in occasione della festa del santo protettore, di addentrarsi nelle grotte, che hanno ospitato il santo, e strofinarsi sulle pietre per ottenere la guarigione dai mali che li affliggono.
Tempo di raccolta, realizzato nel 1966, che completa la selezione di Berlino, è un documentario di denuncia sociale?
Racconta il duro lavoro delle raccoglitrici di olive in Calabria. Mi affascinavano i volti, segnati dalla fatica, di queste donne arcaiche. Non c’è una loro testimonianza, tutto è affidato alle immagini. Ho sempre pensato che anche il documentario è molto vicino al cinema classico, meglio ancora se muto, che trae la sua forza proprio dalle immagini.
A quale nuovo documentario sta lavorando?
A Matres Matutae che altro non sono che statue femminili preromane scoperte vicino a Capua e ora conservate al Museo della cittadina. Si tratta di donne/divinità con grandi seni, propiziatrici della fertilità. Il documentario, prodotto dalla Ethnos di Bologna, indaga alcuni luoghi di devozione, un tempo sedi di culti pagani riferiti sempre alla maternità, al parto.
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