Tra Courmayeur e Sorrento, Lucio Gaudino gira l’Italia con il suo nuovo film, Segui le ombre, anch’esso diviso tra profondo Nord e Meridione. Lo spunto della vicenda è infatti un agghiacciante caso di nera accaduto ad Alleghe, in provincia di Belluno, una catena di delitti coperti dall’omertà di una famiglia e di un’intera comunità, che il regista napoletano ha trasferito sulla Costiera. “Perché credo che l’unica forma di universalità sia nel parlare di ciò che si conosce da vicino”. Ma determinante è stata anche la scelta del cast, tutti attori napoletani, tra cui il Luigi Iacuzio di Pater familias, e poi Nicola Di Pinto, Francesco Di Leva, Gaetano Amato e Moira Grassi.
In concorso al Noir, il film prodotto dalla Sharada di Andrea De Liberato in collaborazione con Rai Cinema, ha una logica anteprima anche agli Incontri. “Ma la Sorrento che ho immaginato in teatro a Cinecittà è una città grigia e piovosa, molto lontana dagli stereotipi solari e colorati”, dice ancora il regista, che aveva già raccontato un’intricata storia familiare con Prime luci dell’alba, in concorso alla Berlinale quattro anni fa. “Anche quello era un film di regia, girato su commissione e scritto da altri, come Segui le ombre che nasce da un soggetto di Mario Brenta rivisitato da Angelo Pasquini”.
Il film è ambientato nel ’46, nell’immediato dopoguerra, ma il conflitto sembra aver toccato solo marginalmente una comunità chiusa e refrattaria alle ingerenze esterne.
Il caso viene svelato dalla curiosità di un giovane brigadiere dei Carabinieri insospettito da una serie di morti inspiegabili avvenute in un albergo, l’Albergo Corona. Sembrano incidenti, ma potrebbero essere delitti insabbiati troppo in fretta dalle autorità locali, il Podestà in primis. In tempo di guerra la morte diventa lecita, quasi naturale. Ma il brigadiere Gatta, forse anche perché gravato da sensi di colpa, si ribella a questa visione e cerca giustizia.
La struttura del film è frammentaria e complessa, con continui salti temporali.
Chiedo molto allo spettatore, costretto a pensare per ricostruire una vicenda che fatica a rivelarsi all’indagatore. Normalmente la fiction italiana prevede uno svolgimento piano che segue un preciso ordine cronologico. Al contrario, io ho voluto giocare d’azzardo anche se devo ammettere che in fase di post-produzione con il montatore Patrizio Marone i dubbi non sono mancati. Ci chiedevamo se il pubblico avrebbe capito i vari salti temporali. Alla fine però, abbiamo portato la nostra idea fino alle estreme conseguenze con il pieno accordo di Rai Cinema. Altra sfida è stata quella di costruire le psicologie di personaggi che a malapena parlano, quindi attraverso gli sguardi e gli atteggiamenti più che attraverso le parole.
Perché spostare in Campania una vicenda di montagna.
Non volevo ricalcare i fatti reali, piuttosto tradurli in una lingua familiare, Credo che il modo migliore di essere universali sia parlare di ciò che si conosce.
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