LUCIANO LIGABUE


L’aveva giurato: faccio questo film e smetto. Parola di Luciano Ligabue, anima tutta rock e lambrusco, che con Radiofreccia si è dedicato con umiltà e profitto alla regia. Quella pellicola doveva essere un’opera unica, una convinzione ribadita più volte quando con sicurezza il Liga diceva: “È difficile che torni dietro a una macchina da presa. Io nella vita ho vendemmiato, raccolto frutta, stampato plastica, ho fatto un corso di marketing, il consigliere comunale, il dj, il ragioniere, ho venduto rasa-erba, ho lavorato in una custodia pellicce. Ho fatto il promoter, ho prodotto e inciso dischi, ho scritto e diretto un film, ho scritto un libro. Insomma, ho sempre voglia di qualcosa di nuovo”.
E invece, complice l’amico e produttore Domenico Procacci, il ragionier Ligabue si è rimangiato tutto e torna sui suoi passi con Da zero a dieci in uscita ai primi di febbraio e sicuramente tra gli eventi cine-musicali dell’anno.

La musica, i romanzi, la regia. Da dove ti viene tutta questa voglia di raccontare?
Sulle mie spalle ho trent’anni di vita vissuta che mi danno una carica incredibile e, infatti, in dieci anni ho tirato fuori otto dischi, un libro e due film. Certo è un sacco di roba, ma io ho sempre presente che nasco dalla canzone. Questo è fondamentale. La canzone è energia e anche quando uno come me si prende delle vacanze in altri territori, ha il dovere preciso di mostrare le proprie budella. Arrivato a quarant’anni mi sono raccontato molto, magari sperando di poter regredire così alla mia adolescenza: del resto noi rockettari dovremmo poter essere un po’ sanamente imbecilli.

Che tipo di film italiani ti piacerebbe vedere nelle sale?
Come spettatore sono poco affidabile, sempre in ritardo rispetto alle novità, più che il cinema frequento molto le videoteche e recupero con il vhs. Certo, uno come Nanni Moretti resta un esempio di cinema integro alla portata della gente. Una volta c’erano i film per il botteghino e quelli per la critica, senza mezze misure. Se debbo pensare al futuro che vorrei, ecco mi piacerebbe che non ci fosse più paura di raccontare delle storie, senza progetti malati dal punto di vista mentale. Una storia bellissima è quella del Grande Torino, che è legata anche a un momento molto particolare dello sviluppo del nostro Paese. Mi chiedo, perché nessuno ci ha ancora pensato?

Alla regia di “Radiofreccia” ha collaborato, discretamente, Antonello Grimaldi, che per il suo “Il cielo è sempre più blu” ha ottenuto la partecipazione gratuita di tante star. Tu faresti da comparsa in un progetto low-budget?
Nella mia vita ne ho combinate un po’ e quindi credo proprio di sì. Alcuni anni fa, con un amico, ho fondato la Mescal, un’etichetta musicale che ha dato spazio ai La Cruz, ai Modena City Ramblers e altri. Ora ne sono fuori, ma sono felice di averla creata. Sono molto più disponibile di quanto la gente non pensi.

11 Gennaio 2002

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