Luciano Emmer


Ci sono registi quasi novantenni, in Italia e fuori, che continuano alacremente a lavorare. Anzi, spesso lavorano più di prima: De Oliveira, Monicelli. Luciano Emmer, classe 1918. Lui per tanti anni si è dedicato alla pubblicità, alla televisione, al film d’arte, adesso ha ritrovato felicità creativa e finanziatori disposti a concedergliela. Magari l’Azienda del Turismo delle Dolomiti di Brenta (o la provincia di Foggia per Il cardo rosso, un altro suo progetto che vedremo a breve completato). Al Torino Film Festival, che due anni fa gli regalò una retrospettiva – “Miste(o) Emmer, l’attenta distrazione” si intitola il volume a lui dedicato in quell’occasione – ha debuttato Le flame del paradis, un film che il direttore Roberto Turigliatto considera unico per la sua libertà e che Enrico Ghezzi, altro sostenitore della poetica di questo milanese snob e contemporaneamente ingenuo, pudico eppure sfacciato, si chiede come portare al pubblico fuori dal circuito dei festival. Ma il film, che ha già una distribuzione, la Mikado e uscirà intanto nella provincia di Trento il 26 novembre, è un divertissement bucolico che sa toccare con leggerezza e ironia il tema sulfureo della caccia alle streghe: si conclude con un rogo ma non fa neppure venire in mente la Passione di Giovanna d’Arco; mostra interrogatori e torture ma non sfiora le cupezze atroci di Gostanza da Libbiano. Piuttosto sceglie una chiave naturalistica, sia nella descrizione della vita quotidiana di una giovane contadina esperta di erbe curative, sia nella seconda parte del film, che ispirandosi a veri processi per stregoneria e ai metodi d’indagine raccolti nel “Malleus Maleficarum”, mostra il processo e la condanna della Zappina oggetto dell’invidia dei paesani superstiziosi e ignoranti.

Il film è parlato nel dialetto della Val di Non: è una lingua arcaica, che somiglia al veneto ma spesso se ne distacca…
E’ una parlata diversa da quella del Trentino attuale e anche dal veneziano, che conosco perché a Venezia ho passato i primi dieci anni della mia vita il che mi ha aiutato a capire questa cadenza. E’ ancora usata, anche se da pochissime persone.

Crede che questa storia, avvenuta quattro secoli fa, sia ancora attuale?
Sì perché le persone non sono cambiate. Anche se sono mutati i costumi e i modi, la cattiveria degli uomini è rimasta la stessa. Oggi sarebbe il caso di ribaltare la storia e fare i processi agli uomini per acclarato sopruso verso le donne: di questi soprusi ce ne sono tanti nel mondo e sono sotto gli occhi di tutti.

Emmer, il regista appassionato delle donne, si sente femminista?
Le donne si stanno prendendo la loro rivincita e cercano di occupare spazi sempre maggiori. Io spero che la differenza tra uomo e donna continui a esistere e che ci sia rispetto reciproco. A volte sono le donne che non rispettano più l’uomo e forse hanno ragione. E poi vorrei anche dire che non sono un donnaiolo, anche se le donne mi interessano molto, sicuramente più degli uomini.

Stavolta ha lavorato con non attori.
Non c’è differenza tra attori e non attori. Roberta Fattor, che fa la strega, è di una bravura… io con gli attori faccio delle normali conversazioni, non faccio provini. L’unica volta che ho fatto un provino è stato all’inizio della mia carriera con Lucia Bosè e Marcello Mastroianni per un film che poi non si è fatto. Da allora basta: è più importante parlare con una persona, attore o non attore, e sentire come vive.

Ha tenuto conto di altri film sulla caccia alle streghe?
No. Non mi interessava l’aspetto morboso della tortura. Sono agli antipodi dal Dies irae. Non ho l’ossessione del soprannaturale che hanno gli scandinavi. Per me se ti pestano un piede, è normale che strilli. Come è naturale che quando ti tormentato con tante accuse ingiuste, finisci per gridare “sì, sono una strega!”, così non se ne parla più.

Anche gli inquisitori sono dipinti con uno stile molto umano e ironico, c’è persino un giudice che si addormenta.
Anche loro erano esseri umani e spesso si annoiavano a fare questo mestiere. Che poi è un mestiere come un altro.

Tra i giovani cineasti italiani c’è qualcuno che lei apprezza in modo speciale?
I registi che conosco io – Calopresti, Virzì, Martone – non sono più tanto giovani. Non saprei.

È vero che Mikado raccoglierà i suoi lavori sull’arte in una collana di dvd?
Roberto Cicutto ha in animo di creare questa collezione ma ci vuole mettere dei miei discorsi introduttivi… e questo mi spaventa un po’ perché non sono come Zavattini, non mi piace parlare di me, mi piace parlare di voi. Però ci sarà anche il film sugli acquerelli napoletani del ‘700 che erano come le cartoline di oggi. Ma adesso da Napoli si portano via solo cattivi ricordi.

Abbiamo letto che farà un film da “Viaggio intorno alla mia camera” di Xavier De Maistre, il romanzo autobiografico scritto nel 1794 da un giovane ufficiale costretto per 42 giorni a non mettere piede fuori dalla sua stanza.
È uno dei miei libri preferiti e mi permetterebbe di lavorare a Torino, una città che amo e che mi ama. Appena il progetto si concretizzerà ve lo farò sapere.

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13 Novembre 2006

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