BERLINO – Ne parla, forse con un velo di ironia, come di un film per famiglie, un “family movie alla Disney”, “perché affronta il tema della trasmissione della conoscenza e credo che persone di diverse generazioni dovrebbero vederlo insieme”. Luca Guadagnino è a Berlino, in Panorama, con Call Me By Your Name, terzo capitolo di una trilogia del desiderio aperta da Io sono l’amore e proseguita con A Bigger Splash. Stavolta il desiderio è quello giovanile, naturale e irrefrenabile, acceso, nel corso di una lunga estate, tra il diciassettenne Elio (Timothée Chalamet) e un giovane studioso americano anche lui ebreo, Oliver (Armie Hammer), ospite nella bella villa settecentesca dei genitori di Elio. E’ il 1983, siamo in un luogo imprecisato del Nord Italia – ma una Pianura Padana di bertolucciana memoria è ben riconoscibile – la natura è in pieno rigoglio e il protagonista, un adolescente che ama la poesia di Antonia Pozzi e trascrive temi musicali – sta scoprendo la sua sessualità, anche con la coetanea Marzia (Esther Garrel). Tutto accade sotto lo sguardo intelligente e rispettoso dei genitori: il padre (Michael Stuhlbarg) è uno specialista di classicità greco-romana, la madre (Amira Casar), una donna colta, empatica e discreta, francese ma cosmopolita.
Ispirato al romanzo di André Aciman, pubblicato da Guanda, riscritto insieme al montatore e collaboratore di sempre Walter Fasano, Chiamami col tuo nome riprende un progetto di James Ivory, il grande cineasta americano che ha partecipato anche alle varie fasi di sceneggiatura. Inizialmente il film doveva essere diretto da un esordiente e Guadagnino era stato coinvolto nella produzione e nella ricerca di alcune location, ma quel coinvolgimento quasi casuale ha assunto via via una forma assolutamente personale e necessaria, tanto che si può ben dire che Chiamami col tuo nome è tra i suoi lavori più riusciti. “Anche i miei due film precedenti parlano del desiderio, ma in quanto conduce al possesso, al rimpianto, al bisogno di una liberazione. Qui volevo esplorare l’idillio della gioventù. Elio, Oliver e Marzia sono presi da una bella confusione. Come diceva Truman Capote: l’amore, non avendo geografia, non ha confini”.
Già molto apprezzato al Sundance e ora applaudito alla Berlinale, unico film italiano della selezione, Chiamami col tuo nome parla anche dell’Italia. Un’Italia che non esiste più e che viene colta nel momento del passaggio, con ripetuti riferimenti a Bettino Craxi, al pentapartito, alla nascita delle tv berlusconiane… e c’è persino un’apparizione televisiva del Beppe Grillo pre-politico che prende in giro Craxi. “Questo è anche un film sulla fine degli anni ’70, Craxi, Licio Gelli e Grillo – spiega Guadagnino – la fine di una straordinaria esperienza e l’inizio del conformismo e dell’omologazione. E’ vero che io mostro un gruppo di persone che non sono toccate da questi fenomeni, che ne vivono al di fuori, ma nei miei film ci sono sempre le cose come le immagino e anche come le vedo nella realtà”. Così nella scena del pranzo quando la coppia di professori italiani (Elena Bucci e Marco Sgrosso) discutono a tavola di politica con echi delle polemiche tipiche del nostro paese e i toni del confronto diventano piuttosto coloriti.
Certo, Guadagnino punta all’astrazione e il film ha una sua verità filosofica, atemporale. Ed è anche un omaggio, dichiarato, ai suoi padri cinematografici: Renoir, Rivette, Rohmer, Bertolucci… “Une partie de campagne di Jean Renoir è uno dei miei film preferiti in assoluto, mentre la scena finale è il mio omaggio a Un condannato a morte è fuggito di Bresson, però è solo grazie alla sensibilità di Timothée Chalamet che acquista senso”. E poi, parlando di figure paterne, c’è un padre che ha il coraggio di confessare al figlio la sua ammirazione per il coraggio di un’amicizia unica e speciale vissuta fuori dalle convenzioni: “avrei voluto anche io ma non ne ho avuto il coraggio”, dice a suo figlio.
La musica ha un ruolo importante, come sempre nel cinema di Guadagnino. “Volevamo fare un film il più semplice possibile che cogliesse il flusso della vita. In questo la musica era fondamentale, la musica che Elio suona al pianoforte, John Adams, Ravel, Debussy, Schoenberg e le canzoni che ascolta e che sono servite anche a ricostruire un pezzo della mia adolescenza, passando dal punk al rock al pop, allo psichedelico e fino a Battiato”. Inoltre la musica, nel film, sostituisce in qualche modo il narratore: “Abbiamo deciso di usare una sorta di commento musicale. Così mi è venuto in mente Sufjan Stevens, un grande artista. Gli abbiamo chiesto di comporre una canzone per il film, lui ce ne ha date due più alcune riletture per piano”.
Tra i contributi al film, che sarà distribuito in Italia da Sony Pictures Classics con Good Films, la fotografia di Sayombhu Mukdeeprom, il dop di Apichatpong Weerasethakul. “L’ho conosciuto quando ha lavorato in Antonia di Ferdinando Cito Filomarino, che io ho prodotto, è una persona capace di stare sul set in modo unico. Questo è un film estivo, girato a maggio nella regione di Crema, ma l’anno scorso la primavera è stata molto piovosa, un disastro, e lui è riuscito a cogliere una luce bellissima”.
Come è stato collaborare con Ivory, che trent’anni dopo Maurice tornava a raccontare una grande storia d’amore tra due uomini? “Tutti noi abbiamo partecipato a questo progetto per il piacere di farlo, specie nella scrittura, con grande amore e, direi, mano nella mano. Ivory è un uomo generoso e pieno di curiosità per la vita. Stavamo attorno al tavolo di cucina della mia casa di Crema e abbiamo pensato di riscrivere questa storia a modo nostro, in modo intuitivo e libero, senza strategie. Ci interessava la fusione piuttosto che l’atto sessuale, era importante mostrare l’intimità, i sentimenti, così ci siamo concentrati su quello che provavano questi due esseri”.
Quanto al molto chiacchierato remake di Suspiria, che è attualmente in postproduzione, Guadagnino non vuole dire nulla: “Le polemiche servono solo a riempire le pagine dei giornali, posso solo dire che non capisco perché non si potrebbe ricreare oggi l’immaginario di Suspiria“.
L’European Film Market, che ospita 9mila partecipanti annuali e funziona da punto focale per il mercato del cinema durante la Berlinale, aumenta le attrazioni per i produttori. L’ “EFM Producers Hub” è un' iniziativa pensata per le loro esigenze, che saranno consigliati da esperti sui finanziamenti e le strategie di distribuzione.Il programma già esistente “Meet the Docs” sarà concentrato nel nuovo “DocSalon” e include discussioni ed eventi di networking. Le iniziative si terranno dal 16 al 21 febbraio
In uscita The death of Stalin, Manifesto e Monos
Successo allo European Film Market per la commedia di Ficarra & Picone, venduta all'estero dalla società True Colors, e in procinto di essere rifatta in versione internazionale. Grande curiosità ha suscitato anche Ride, il thriller horror in lingua inglese sugli sport estremi girato da Fabio & Fabio, registi del fortunato Mine
Con un totale di 334.471 biglietti venduti la Berlinale conferma il suo rapporto privilegiato con il pubblico cittadino che ha affollato anche quest'anno le proiezioni di tutte le sezioni. Successo anche lo European Film Market (EFM) con 9.550 professionisti da 108 paese e 192 stand. Prossima edizione dal 15 al 25 febbraio 2018