Dopo più di 40 anni torna all’antico splendore Francesco d’Assisi, il lungometraggio d’esordio di Liliana Cavani che provocò reazioni molto diverse tra i critici: dall’entusiasmo di chi ne apprezzava il linguaggio innovativo, alle polemiche di chi lo giudicava troppo realista. Prodotto dalla Rai, il film era destinato alla televisione, che lo trasmise in due parti nel maggio 1966. Per iniziativa di Cinecittà Holding e con il contributo del Ministero dei Beni Culturali-Direzione Generale Cinema, il film è stato restaurato nei laboratori di Cinecittà Studios grazie alle più aggiornate tecnologie digitali, che hanno permesso una corretta trasposizione dall’originario 16mm al 35mm e la riparazione di scene gravemente danneggiate.
La versione restaurata di Francesco d’Assisi è al centro di un evento organizzato da Cinecittà Holding e dal MiBAC lunedì 23 aprile all’Auditorium Parco della Musica, dove i film verrà proiettato alla presenza del ministro Francesco Rutelli.
Sono passati 40 anni da quando girò Francesco d’Assisi. Qual è oggi l’attualità di quest’opera?
La vita di Francesco è un argomento sempre attuale, perché porta in sé un messaggio sempre nuovo. Francesco realizzò una vera e propria rivoluzione generazionale, lasciando il padre, la società, il suo progetto di vita e mettendosi alla ricerca di Dio. Questa ricerca fa parte del nostro Dna: ognuno di noi, a un certo punto della vita, ha bisogno di capire il senso della vita, e spesso lo fa rivolgendosi alla religione. Non è un caso se anche in queste settimane ci sono al cinema film di tematica religiosa come Centochiodi.
All’epoca il suo film suscitò reazioni molto contrastanti. Che ricordo ne ha oggi?
Sia gli entusiasmi che gli attacchi furono dovuti alla rottura del linguaggio tradizionale che operai con questo film. Ho utilizzato un linguaggio aspro, nuovo, in un periodo in cui i santi venivano rappresentati sempre come santini. Ci fu addirittura un’interpellanza parlamentare: in molti non si spiegavano perché avessi usato un attore non italiano come Lou Castel per dare volto a Francesco. In realtà Castel è quello che si avvicina di più come fisionomia al San Francesco di Giotto nella Basilica di Assisi.
Come è nato questo progetto di restauro? L’ha seguito da vicino?
Il restauro è nato per iniziativa di Cinecittà Holding, del Ministero dei Beni Culturali e dell’Istituto Luce, che me ne hanno informato chiedendomi di supervisionare il lavoro. Sono stata molto felice del recupero di quest’opera, che ho seguito “a tappe” apprezzando il lavoro dei professionisti che l’hanno curato, persone che hanno un grande amore per il cinema.
Qual è il suo giudizio sullo stato attuale del nostro cinema, tra i grandi incassi delle commedie e l’assenza italiana dal concorso di Cannes?
E’ normale che i film di intrattenimento attirino un pubblico numeroso e indifferenziato, ed è comunque un fatto positivo che tanta gente vada al cinema, dimostrando una forma di curiosità più emancipata. Certo mi piacerebbe vedere di più un certo tipo di commedia all’italiana, come quella di Paolo Virzì. Il cinema serio arriva più difficilmente al pubblico un po’ perché quest’ultimo è poco preparato al linguaggio cinematografico, un po’ perché tratta argomenti che non sono di pubblico interesse. In ogni caso bisognerebbe educare il pubblico al cinema, e dovrebbe essere la Rai a farlo.
C’è qualche giovane regista italiano che le piace particolarmente?
Mi sono piaciuti molto Eugenio Cappuccio con Uno su due e Saverio Costanzo, di cui ho apprezzato entrambi i film. Sono due autori interessanti, che trattano argomenti importanti in modo non privatistico e televisivo, come fanno quasi tutti gli altri.
Sta preparando nuovi progetti?
Inizierò a girare entro luglio il mio prossimo film su Albert Einstein e il suo rapporto con la prima moglie. Il film è prodotto da Claudia Mori e scritto da me con Massimo De Rita e Mario Falcone. Nei panni dello scienziato ci sarà l’attore americano Giovanni Ribisi.
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