NAPOLI – “Gassmann”, decisamente molto più di “un cognome”.
Una incrollabile e intramontabile colonna portante dell’arte della recitazione, con Vittorio; ereditata da suo figlio Alessandro, anche regista, di teatro e cinema; e – dulcis in fundo – su una via parallela a quella della musica, adesso fatta propria anche da Leo, 25 anni, che ha debuttato nel ruolo di Franco Califano, nel film tv omonimo, trasmesso su Rai Uno lo scorso febbraio e che i Nastri d’argento – Grandi Serie premiano come Rivelazione dell’Anno, il primo premio cinematografico della sua carriera, riconoscimento ricevuto anche da Letizia Toni, per il ruolo di Gianna Nannini in Sei nell’anima.
Leo, 3 parole che raccontino ‘Gassmann’, che riconosci appartengano contestualmente a te, a tuo papà e a nonno Vittorio; e 3 parole che raccontino solo Leo, che descrivano la tua unicità, di artista, non solo di attore.
Le parole che descrivono noi tre sono: tigna, generosità e senso di appartenenza. Io sono entusiasta, malinconico e sognatore.
Presentando Califano, hai detto: ‘oggi è un giorno emozionante per le mie radici: continuare una tradizione è una responsabilità e una grande gioia’. Ecco, a parte la verità e l’entusiasmo di queste parole, chiamarsi Gassmann è ‘un fardello’: cosa non ti basta della musica che cerchi/trovi nella recitazione e cosa non ti basta della recitazione che invece ti offre scrivere/cantare?
La musica mi dà la possibilità di lanciare valori, quelli che vorrei seguire per tutta la vita, che auguro anche a me stesso: lì c’è la mia parte più sognante; mentre nella recitazione ho la possibilità di raccontare la zona più malinconica di me stesso, che nella musica esce ma in maniera diversa: attraverso la recitazione emerge l’empatia nei confronti di storie che magari non mi appartengono ma nelle quali mi riconosco.
La mimes con Franco Califano t’è riuscita felicemente perché hai portato in primo piano il fattore umano, una recitazione di pancia, il sorriso, la tenerezza, una presenza scenica forse mutuata dai palchi musicali, e il timbro vocale. I prossimi personaggi che andrai a interpretare probabilmente ti chiederanno corde molto meno prossime a te: cosa desidereresti non perdere mai di questo primo approccio, e su cosa pensi di lavorare per completarti e prendere le varie forme possibili di un altro da te?
Sono tre anni che studio recitazione. Franco mi ha dato la possibilità di volermi più bene, di guardarmi di più, di accontentarmi anche della semplicità di uno sguardo, di un’emozione. Mi ha aiutato anche nelle relazioni sociali e, in realtà, anche a stare sul palco: c’è stata una combinazione di eventi per cui ho finito di girare il film e il giorno dopo ero già su un palco a suonare, così mi sono subito reso conto che Franco mi abbia aiutato molto anche a raccontarmi di fronte agli altri. Sicuramente farà sempre parte di me, ma di Califano ce n’è uno solo, dunque mi auguro di poter raccontare tante altre storie, altrettanto toccanti come la sua.
Pensando al cinema, c’è un genere che ameresti recitare e un regista da cui vorresti essere diretto?
Mi piacerebbe fare una tragedia, mi piace questa idea, ma anche il thriller. Per i registi, in Italia ne stimo diversi, penso a Sorrentino, Garrone, i fratelli D’Innocenzo, Muccino, Genovese.
Tuo papà ti ha proposto di recitare diretto da lui per lo schermo, o pensi te lo potrebbe proporre?
Se un giorno dovesse esserci una storia giusta da raccontare, immagino che sia a papà che a me farebbe molto piacere poterlo fare insieme; in questo momento mi sto costruendo, sto facendo il mio percorso, non penso sia questo il momento, ma altrettanto spero possa arrivare il prima possibile, perché condividere qualcosa con mio padre sarebbe straordinario.
Essere figlio unico, come tu lo sei, significa essere il centro assoluto dei propri genitori, nel tuo caso entrambi attori: quando hai deciso di recitare, cosa ti ha detto tua madre? Cosa tuo padre? E cosa hai apprezzato non ti abbiano detto, per lasciarti la libertà di provare, rischiare, sbagliare?
La recitazione è venuta in una maniera molto organica: ho iniziato a studiare, gliel’ho detto, e mi sono preparato diversi anni prima di cominciare a fare provini; quando ho detto ai miei che avrei fatto quelli per Califano mi hanno risposto che sarebbe stata un’impresa difficile riuscire a conquistare quel ruolo, perché era molto ambito, perché Franco è stato un simbolo. Poi, quando sono stato preso, c’era la paura, perché comunque era il primo film, o che ci potessero essere delle sviste, ma alla fine è andata bene: comunque, loro hanno sempre creduto in me, soprattutto mia mamma, fin dall’inizio. Ho i genitori migliori del mondo!
Non hai purtroppo potuto conoscere tuo nonno Vittorio, ma – dai racconti famigliari su di lui – immagini cosa ti avrebbe potuto dire della scelta di recitare?
Non lo so, ma mi auguro che, se esistesse una vita oltre quella che viviamo, questo film lo abbia fatto sorridere; so che nonno conosceva il maestro Franco, quindi sicuramente mi avrebbe raccontato delle storie inedite; a me fa proprio piacere seguire questa tradizione famigliare della recitazione e non vedo l’ora di continuare per dimostrare di poter raccontare storie, le più differenti.
Infatti, dopo Califano, ti hanno proposto di ‘farlo ancora’, cioè di recitare? Insomma, progetti in corso e per il futuro?
Ho un po’ di storie che mi sono state proposte, che sto valutando: a breve inizierò un nuovo progetto, di cui al momento è un po’ prematuro parlare, ma fortunatamente Franco mi ha dato la possibilità di creare una sorta di biglietto da visita per cui sto ricevendo proposte molto belle, non biografiche. Il mio sogno è voler sempre stupire, senza alzare troppo e d’improvviso l’asticella, ma procedendo per gradi, con l’idea di propormi sempre differente, anche per il mio personale divertimento di guardare fino a che punto possa spingermi.
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