Leigh e il suo elogio della normalità


CANNES – In competizione per la quarta volta al festival francese, stamane a Cannes è arrivato Mike Leigh e soprattutto il suo Another Year, pellicola a metà tra il drammatico e il tragico voluta così dall’autore inglese sempre in cerca del modo più realistico di raccontare e analizzare la vita. Il film, che come lascia intuire il titolo si snoda nell’arco di un anno intero, racconta la storia di Gerri e Tom, coppia sposata che malgrado i tanti anni passati insieme continua a vivere bene la propria relazione. Lei lavora al consultorio di un ospedale londinese, lui è un ingegnere geologico che fa scavi per testare il terreno su cui sorgeranno le future costruzioni. La loro vita scorre abbastanza serena e questo gli dà la possibilità di sostenere psicologicamente e affettivamente gli amici meno fortunati. C’è Ken, l’amico di vecchia data che non sa cosa fare del suo futuro e del suo lavoro e cerca la risposta nell’alcool, e c’è Mary, collega di Gerri, impiegata nell’amministrazione dell’ospedale dove entrambe lavorano, alla ricerca costante di un compagno che riempia il vuoto immenso della sua vita. E forse plachi le sue nevrosi.

 

In mezzo lo scorrere delle stagioni, una nascita e una morte, tanto humor inglese e diversi momenti di tristezza che fanno del film un racconto intimo, narrato in modo minimale, che ha il pregio di non scadere mai nella noia e nella banalità, pur fotografando la vita quotidiana di un gruppo di persone normalissime. “Le persone comuni sono noiose solo quando pensano di esserlo – ha detto in conferenza stampa il regista e sceneggiatore Mike Leigh – Non ho fatto grandi sforzi a realizzare questa storia perché penso che la vita sia sempre affascinante, in ogni sua sfaccettatura, per questo credo valga la pena di raccontarla”.

 

Nella sala della conferenza, riempita solo a metà, forse a causa della concomitanza con la proiezione del film fuori concorso di Woody Allen, You will meet a tall dark stranger, oltre al regista erano presenti il fidato direttore della fotografia, Dick Pope, al fianco di Leigh da 20 anni, e tre dei bravissimi protagonisti, Ruth Sheen (Gerri), Jim Broadbent (Tom) e Lesley Manville (Mary). Assente, Imelda Staunton che nell’opera interpreta solo un cameo. Insieme a loro il regista ha provato a spiegare ai giornalisti come Another Year non sia un film sul tema della solitudine, ma piuttosto una pellicola che vuol mostrare in che modo gli esseri umani gestiscono il proprio dolore, il loro malessere interiore, e di come arrivino a fare i conti con se stessi rispetto a quello che sono diventati.

 

Nel tentativo di estorcere qualche particolare in più all’autore sulla sua idea di cinema, qualche collega in sala prova anche a citare il suo penultimo film, La felicità porta fortuna, chiedendogli se e quando farà una pellicola ottimista, che non abbia per protagonisti necessariamente uomini e donne problematici. Da buon inglese con senso dell’umorismo, Leigh risponde che farà un film senza persone sofferenti, quando scoverà delle persone che non abbiano nessun problema al mondo, cioè mai. Poi citando Jean Renoir dice: “Noi registi siamo condannati a fare e rifare lo stesso film per sempre. Io mostro la complessità della vita, non voglio angosciare gli spettatori. Solo stimolarli a trovare delle possibili soluzioni”.

15 Maggio 2010

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