Le rose del deserto


M. MonicelliNonostante abbia quasi 89 anni l’indomito e battagliero Mario Monicelli si lancerà presto in una nuova e faticosa avventura dirigendo in Africa Le rose del deserto. Una trasposizione del romanzo di Mario Tobino Il deserto della Libia che aveva già in parte ispirato Dino Risi per il suo Scemo di guerra, interpretato a metà degli anni ’80 dal comico francese Coluche e da Beppe Grillo. “Compatibilmente con la mia età mi sento pronto a girare subito, ma le riprese inizieranno verso la fine del 2004 per ragioni climatiche ed organizzative”, spiega Monicelli alla vigilia dei sopralluoghi africani per il film da lui sceneggiato con Alessandro Bencivenni e Domenico Saverni e prodotto da Mauro Berardi e Mikado. “Sceglierò gli ambienti in Marocco, in Tunisia e in Libia, un paese che conosco bene perché nel 1938 avevo girato lì come assistente alla regia di Augusto Genina Squadrone bianco, mentre in Africa sono tornato poco dopo come aiuto regista di Equatore e all’inizio degli anni ’70 come regista di Brancaleone alle crociate, realizzato in parte nel Sahara algerino”, spiega l’instancabile maestro della commedia, sottolineando di inseguire da anni Il deserto della Libia.

“E’ una specie di mia fissazione personale questo diario di guerra in cui Tobino, un letterato-psichiatra di grande qualità, originario come me di Viareggio e scomparso negli anni ’80, rievoca la sua esperienza di guerra nel deserto fino all’arrivo di Rommel”. Il libro da sempre lo affascina per il suo paesaggio misterioso, i rapporti infidi con gli arabi, ma soprattutto per le sue qualità letterarie: c’è una riflessione malinconica sulla ridicola insulsaggine di una guerra, tra le dune di sabbia e senza aiuti, attraverso le vicende di un’unità sanitaria italiana lasciata all’avventura, “sballottolata” qua e là.

“Non racconto El Alamein, ma l’arrivo del primo contingente sanitario fino alla prima ritirata: si muore, ma nello spirito italiano che non è mai completamente tragico”. Vicende di soldati che muoiono, altri che sperano di essere feriti per essere rimpatriati, tutti i nostri (infinitamente meno numerosi dei tedeschi), umiliati e debilitati tranne qualche esaltato. “Spero che venga fuori un’Italia che si butta in un conflitto impreparata, con gente che s’arrabatta per cambiare la propria posizione: senza retorica patria, con la solita rassegnazione degli italiani trascinati a fare qualcosa di più grande di loro, di cui non importa niente a nessuno, ma che sopportano eroicamente”.

Sarà un documento di piccole storie quotidiane, di tipi strambi e buffi raccontati con l’ironia e il sarcasmo in cui Monicelli è maestro indiscusso: forse un ideale seguito del celebre La Grande Guerra. “E’ vero, anche se i personaggi interpretati da Gassman e Sordi erano poveracci sradicati, mandati a morire in una guerra di trincea, mentre qui i giovani sono fiduciosi e non depressi, volontari che vanno nel deserto decisi e convinti: le premesse erano di averla vinta subito per diventare padroni del Mediterraneo, perché Mussolini voleva l’Impero e tutti erano convinti dalla propaganda fascista che si trattasse del breve tratto finale di una guerra ormai vinta. Ma si andava a costruire l’Impero proprio nel momento in cui tutti gli imperi coloniali franavano. Si credeva che si sarebbe risolto tutto in fretta e poi ci si è impantanati con l’esercito abbandonato a se stesso in un’Africa neghittosa con temperature sempre uguali, in mezzo alla sabbia del deserto”.

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01 Luglio 2004

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