‘L’amour ouf’ è innocente e bagnato di violenza, avvolto da uno sguardo registico posh-pop

Il film di Gilles Lellouche in Concorso, a una manciata di ore dalla conclusione del Festival prende la scena dei papabili al palmarès. Adèle Exarchopoulos e François Civil interpreti di un amore adolescenziale imbastardito nel tempo dal contesto malavitoso


CANNES – “Certi amori non finiscono – Fanno dei giri immensi e poi ritornano” canta un celebre brano italiano (non nel film) e, a proposito di giri immensi che percorrono e ripercorrono il perimetro del sentimento amoroso, certamente L’amour ouf di Gilles Lellouche, in Concorso, gioca anche con la circolarità della vicenda e sul sottile confine di immaginazione e verità tra ciò che mostra prima e poi, infine, nell’epilogo. Insomma, quello che si guarda, non è detto che sia… . “Il falso finale e il vero finale sono la rivalsa della violenza, una buona scelta per cui vince la vita”, commenta il regista.

Sono gli Anni ’80, nel Nord della Francia, Jacqueline e Clotaire sono bambini: lei rimasta orfana di mamma, vive con l’affettuoso papà; lui – figlio di una famiglia numerosa – ha un padre rabbioso e manesco, e la tensione tra loro è viva sin da quando il piccolo, mantello di Superman sulle spalle, lo sfida – senza timore – tra le mura di casa.

“Ho raccontato una storia d’amore senza cinismo, con dentro una contraddizione totale: Clotaire si costruisce attraverso la violenza, con la ricerca di un riscatto sociale; è stato un bambino avvicinato dalla perdizione e senza ideali, ma impara poi il valore delle parole e l’amore è l’altra faccia del senso della violenza, una forza che non apparteneva al suo passato. Era importante raccontare tutte le forze dell’amore, facendo un film su e per l’amore” per Lellouche.

L’infanzia si fa adolescenza, interpretata da Mallory Wanecque e Malik Frikah, visi perfetti per questa fanciulla studiosa dalla faccia pulita – che ricorda un po’ la bellezza pura di Sophie Marceau ne Il tempo delle mele – e lui, piccolo teppista per cui la strada è la vita. La storia in sé non è sorprendente, i profili del bello e del brutto, del giusto e dello sbagliato, del fascino del male, così come quello del bene, sono alla base del film, che infatti non abbaglia per trama ma per un magistrale sguardo registico sì, sofisticato e al contempo pop, capace di cucire tra le sequenze raffinati e romantici inserti coreografici, seppur non si tratti di un musical.

“La musica è davvero molto importante perché concorre a raccontare. Ho fatto un passaggio su The Cure, un passaggio specifico sull’adolescenza: ho voluto tradurre il mio film anche nella musica, che era il modo più diretto e emozionale per portare il ricordo nel racconto. La musica era già presente sin dalla scrittura. Io amo la musica, amo la danza, ma non sono un esperto di commedia musicale per poterla mettere in scena”, precisa il regista.

C’entra l’Amore in questa storia, che va al di là dell’estrazione sociale e dello stile di vita, soprattutto in un momento dell’esistenza come quello dell’adolescenza, istintivo, puro, così i due destini s’incontrano, si stringono, si lacerano, si ritrovano, in un costante turbinio di avvenimenti, che Lellouche tende a prolungare un po’ troppo in tutte le fasi, essendo esplicito sin da subito il contesto e le sue dinamiche.

Tra le primissime sequenze, quella di un cuore, un organo reale pulsante, abbracciato dalle fiamme, visione potente e simbolica, contemporanea e quasi da videoclip, a conferma della sapiente mescolanza di generi che l’autore riesce a mettere insieme, e metafora di quel loro amore, sintetizzato in un unico muscolo emotivo, dentro cui corrono, s’intrecciano, si scontrano, si sfilacciano, i rivoli del sentimento e degli accadimenti della vita, eppure non spezzando forse mai quell’unico soggetto comune, il cuore appunto.

“Ho avuto attori di un’intensità rara, nei corpi e nelle espressioni, coppie formidabili insieme. Per gli adolescenti, Mallory s’è presentata molto volubile, piena di energia, posata naturalmente, era quello che cercavo per Jackie, era evidente fosse lei sin dalla prima volta che l’ho vista; Malik è stato il solo a non essere didascalico per Clotaire, era un diamante grezzo, capace di prendere la forma del personaggio: penso che avrà una carriera eccezionale; è stata una sorpresa continua la sua serietà. Ho amato l’idea di assistere a un viaggio, facendo questo film, per cui avevamo la base del romanzo di Neville Thompson; è stato un lavoro serio, concentrato ma gioioso, che ci ha dato l’opportunità continua di valutare differenti punti di vista, in modo collegiale, con una costanza assoluta da parte degli interpreti”, continua l’autore.

Per lunghe sequenze Lellouche affida a Wanecque e Frikah l’incarnazione della lievità dell’adolescenza: loro restituiscono una bella prova attoriale, delicata e brutale al contempo, tra spensierati bagni al mare, corse in motorino tra campi d’erba, fino alla visione più romantica e registicamente mirabile della prima volta in cui fanno l’amore, una scena in cui il regista non mostra altro che dettagli, sfocature, controluce, giocando con i colori e gli elementi della Natura e frammenti di pelle dei loro corpi, senza bisogno di indugiare sulla prevedibilità dell’amplesso, offrendo così uno dei migliori modelli cinematografici di come si dovrebbe girare una scena d’amore, non assente di erotismo, ma altrettanto non didascalica.

Però, la bellezza integra di quell’età della vita, purtroppo, per Clotaire cammina di pari passo a una costante immersione sempre più profonda negli inferi della malavita, fino al carcere: 12 anni di condanna.

L’arresto, reale, legale, concreto, corrisponde all’arresto della storia d’amore, il binario delle loro vite si biforca, tra la galera per lui – Francois Civil, e una normale quotidianità per lei – Adèle Exarchopoulos, impiegata in un ufficio di noleggio macchine, banalmente sedotta e sposata dal suo superiore. Ma lì, in fondo alle pupille, e nemmeno troppo nel profondo, Jacqueline ha lo sguardo patinato di malinconia, colorato d’infelicità.

“Il primo desiderio era far emergere la storia d’amore, il film è davvero un’urgenza di amore. Ho lavorato anche sul realismo, con Gilles che è un capitano estremamente preciso. Abbiamo recitato su un piano di confidenza: lei si perde d’animo e quindi abbiamo cercato l’idea dell’importanza dell’amore; tutto il mondo va contro Clotaire, ma lei ne coglie la poesia”, spiega l’attrice.

Mentre Francois Civil si dice “impressionato per l’intensità di Malik, tanto che mi sono posto il problema della trasformazione in adulto. La costruzione della bellezza del personaggio era la costruzione dall’infanzia. Siamo riusciti nel mimetismo. Lui vive un’infanzia costretta, l’orizzonte deve ancora apparire, e la violenza è l’unica forma di giustizia conosciuta nel frattempo. Ho avuto la responsabilità di raccogliere da Malik il personaggio”.

Il tempo passa, 12 anni trascorrono, e un’eclissi di sole ritorna, come quella che – in quel “tempo delle mele” – fanciulli e spensierati, per la prima volta avevano guardato insieme, stupiti, ridendo, abbracciandosi: e anche adesso – da adulti – sono lì, Jacqueline e Clotaire, come uno accanto all’altra, ma uno distante dall’altra, a guardare lo stesso sole, unico, come unico era il cuore che li amalgamava in un’anima nucleare; per lei, più d’una lacrima scende, per lui altrettanto, ma entrambi – alle rispettive persone presenti – giustificano di piangere per colpa dell’intensa luce del sole; ma, senza dubbio, è invece per un sole interiore che non brilla più, per nessuno dei due.

È poco dopo che Lellouche sceglie di innescare il gioco visivo della ripetizione delle sequenze iniziali, baloccandosi con l’opportunità narrativa del ribaltamento degli eventi, perfettamente identici ma non del tutto: è infatti in questo divertissement che conduce poi all’epilogo, finale prima del quale vive anche un serio discorso espresso da Jacqueline sul valore delle parole, sul “peso delle parole” – questione che appartiene al film, sì, ma rilevante nella vita di ciascun essere umano.

Il film è realizzato in collaborazione con Netflix.

autore
24 Maggio 2024

Cannes 2024

play
Cannes 2024

‘Motel Destino’. Karim Aïnouz torna a girare in Brasile

Il regista brasiliano torna a girare nel suo paese e presenta a Cannes 77 la storia di un triangolo amoroso ambientata in un Motel

play
Cannes 2024

‘Plastic guns’. Commedia francese arricchita da umorismo macabro

Il film è spirato da uno dei fatti di cronaca francese più importanti degli ultimi anni

play
ArnaudDesplechin

‘Spectateurs!’. Desplechin e la sua lettera d’amore al cinema

Il film è stato pensato come un tenero romanzo iniziatico per lo spettatore. Un'esperienza sensoriale, collettiva e unica

Cannes 2024

Payal Kapadia e non solo, i premi targati TorinoFilmLab a Cannes

Il film indiano All We Imagine as Light, vincitore del Gran Prix a Cannes 2024, fa parte del lungo elenco dei TFL FILM


Ultimi aggiornamenti