Magdalene sisters continua a scuotere. A due giorni dalla fine del festival veneziano si allargano le riflessioni e le polemiche sul Leone d’Oro a Peter Mullan. A latere i battibecchi sui motivi che hanno spinto la giuria a premiare lo scozzese: la difesa di De Hadeln di ieri e la risposta, durissima, del membro del cda della Biennale Valerio Riva sulle pagine de Il Giornale. Infine le polemiche sul lavoro svolto dalla Rai per la serata finale, innescate da alcune dichiarazioni dello stesso De Hadeln. Ma il confronto dialettico su Magdalene mostra anche le diverse posizioni manifestate dai vari rappresentanti del mondo cattolico, e laico.
Scrive Alessio Altichieri, corrispondente dall’Irlanda del Corriere della sera: “Il film di Peter Mullan può fare sensazione in Italia, se il Vaticano lo condanna duramente, ma sfonda porte aperte nel Regno Unito e in Irlanda, dove la storia delle ‘lavanderie Magdalene’ è stata rievocata più volte, con immutato orrore, con documentari e sceneggiati”.
L’illustre critico Gian Luigi Rondi sul Tempo: “Il film di Mullan è non privo di meriti cinematografici ma così estremo e fazioso nella sua descrizione di ospizi irlandesi come Lager e di suore alla loro guida come sadiche “Kapo”, da essere spesso, anche artisticamente, piuttosto inattendibile”.
Gabriella Gallozzi dell’L’Unità indaga sulle diverse voci del mondo cattolico: “Radio Vaticana parla di un’Italia ‘ancora una volta rancorosa contro i cattolici’. Maurizio Turrioni, critico di Famiglia cristiana invece dice di “essere d’accordo col premio alla tematica di impegno e di denuncia, ma non con la qualità del film. Perché se la prima metà sa di verità, la seconda diventa monocorde e drammaturgicamente perde molto”. Ancora, Don Vitaliano, il prete no-global: “Credo che la Chiesa dovrebbe essere grata a Peter Mullan e a chiunque sia in grado di tirare fuori le pagine nere della nostra storia. Vorrei citare un’espressione usata dal Papa: ‘la purificazione della memoria’ cioè la volonta di guardare agli errori del passato e ricercare la verità”. Andrea Piersanti dell’Ente Spettacolo scrive su .Com: “Una parte rilevante della cultura laica non accetta ancora il giudizio dei cattolici. ‘Il Leone del coraggio’ titolava l’altra sera il Tg3 della Rai. A pensarci bene sembra più il Leone del conformismo, un conformismo duro a morire”.
Isabella Bossi Fedrigotti commenta sul Corriere della sera: “Il supplizio delle lavandaie va messo in coda agli altri toccati nei secoli alle donne per il solo fatto di essere tali. Cattolici uguali ai talebani, secondo le affermazioni del regista? Forse più semplicemente uomini uguali a uomini. Anche se la perfida superiora del film – con la sua testa fasciata – non pare troppo dissimile da quei giudici dalla testa altrettanto fasciata che hanno condannato Safiya, Amina e le altre”. Infine Luigi Pedrazzi sul Messaggero: “Il premio di un festival deve esaltare soltanto la bellezza e la qualità di un film e non la sua rappresentatività storica. Forse sarà bene andare a vedere il film per verificare a che punto siamo come credenti contemporanei, tra relazioni e problemi culturali, tra banalità da evitare ed esami di coscienza da sviluppare”.
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