Prima di Elvis, prima di Elton John, prima di Madonna e di Lady Gaga, c’era Liberace. Pianista virtuoso, intrattenitore sorprendente e stella indiscussa del palco e della televisione. Il suo nome, almeno negli Usa degli ani 70, era sinonimo di stravaganza, spettacolarità e… candelabri, la decorazione preferita del musicista, che non mancava mai sul suo pianoforte a coda. Steven Soderbergh lo ricorda con un biopic maestoso, Dietro i candelabri, in uscita il 5 dicembre dopo una trionfale accoglienza a Cannes, interpretato da Michael Douglas, nei panni del protagonista, e da Matt Damon in quelli del suo amante Scott Thornson, che ha ispirato la pellicola con il suo libro ‘My life with Liberace’, racconto del burrascoso eppure profondo rapporto tra i due in un’epoca in cui non era possibile rivelare al mondo la propria omosessualità senza subire conseguenze disastrose. Il film è prodotto dalla HBO e destinato principalmente a un circuito televisivo, e vede anche la partecipazione di Dan Aykroyd nel ruolo del manager Seymour Heller. “Ho incontrato Liberace una volta – racconta Douglas che su schermo lo interpreta magistralmente – avevo 12 anni, mio padre aveva una casa a Palm Springs e lui viveva non lontano da lì. Lo vidi uscire una volta dalla sua Rolls Royce, pieno d’oro e anelli, era una bella giornata e lui splendeva letteralmente al sole. Era affascinante e so anche che era una persona molto generosa”.
“Io sono troppo giovane per averlo incontrato – contrappunta Damon – ma per mia madre era un idolo. Lei stessa era una pianista e adorava vederlo suonare”. “A me – dice Soderbergh – colpiva il modo in cui lo guardavano i miei genitori. Si può dire che io sia rimasto affascinato dalla loro fascinazione. Nessuno a Hollywood voleva farlo – prosegue il regista – per via delle tematiche gay. Dicevano che il film non avrebbe attirato il pubblico etero. E questo, dopo Brokeback mountain. Incomprensibile. Per di più il mio film è anche divertente, continuano a sorprendermi con le loro dinamiche assurde”. Così, entra in ballo l’dea della produzione televisiva: “Il pubblico del cinema sta migrando verso la tv – continua – si può dire che il ‘via cavo’ stia vivendo una seconda fase di giovinezza. Ci sono programmi ottimi, culturalmente validi. Quelli che prima parlavano di cinema oggi parlano di tv. Penso che per gli spettatori sia fantastico”. “Non penso che il problema fossero le tematiche gay – commenta Douglas – quanto il fatto che ormai a Hollywood non si interessano minimamente di film a basso budget. Per fortuna che c’è la tv. Il paradosso è che proprio il mio nome potrebbe essere stato controproducente. Nemmeno i piccoli distributori hanno avuto il coraggio di tirar fuori un Michael Douglas gay. Con qualsiasi altro attore Steven sarebbe riuscito a uscire al cinema”.
Tra l’altro, Soderbergh ha annunciato che questo potrebbe essere il suo ultimo film. Un addio dato in sordina, solo in tv? “Per la verità – dice il regista – non so se sarà davvero l’ultimo, ma di certo mi serve una pausa. La prima volta che sono venuto a Cannes, con Sesso, bugie e videotape, avevo ancora i capelli!” Un buon biopic non può prescindere dalla credibilità dei suoi interpreti, e in questo caso sembrano tutti concordi nell’affermare l’ottimo lavoro svolto dai due protagonisti: “Devo dire che Soderbergh è tecnologicamente un passo avanti rispetto a tutte le altre persone con cui ho lavorato -afferma Matt Damon – Giriamo la mattina e la sera, tornati a casa, le scene che abbiamo girato sono disponibili già online, così possiamo entrare nel film e renderci ben conto di quel che facciamo. E’ come un grande mosaico e per un attore è un gran regalo. E poi, posso vantarmi di aver condiviso con Michael Douglas momenti particolarmente intimi, come Sharon Stone o Demi Moore”, scherza l’attore. “Io – commenta Douglas – mi sono trovato per la prima volta alle prese con un personaggio che era già conosciuto dal pubblico. Era molto più grosso di me, di origini polacche. Avevo delle differenze fisiche da colmare, ho lavorato sulla voce, guardando filmati. Ho imparato a imitare i gesti di un pianista”. Inevitabile la riflessione sul piano sociale: “Non so se tra 50 anni avremo finalmente una legge sui diritti degli omosessuali – conclude il regista – magari ci chiederemo perché ci sia voluto così tanto tempo. Ma devo essere onesto: non pensavo a questo, preparando il film, quel che mi interessava era il rapporto tra i due personaggi. Un coreografo di Liberace mi ha raccontato questo aneddoto: quando venne fuori la sua omosessualità, il pianista era terrorizzato dall’idea che il pubblico lo avrebbe fischiato al suo concerto successivo. Lo applaudirono più di prima. Questo significa che la vita privata degli artisti, al pubblico, non interessa. Conta ciò che sono in grado di dare con il proprio lavoro. Magari un giorno arriveremo al punto in cui non si parlerà nemmeno più di queste cose”.
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