Una bella sorpresa La pelle dell’orso di Marco Segato, in sala dal 3 novembre con Parthenos, film d’avventura e racconto di formazione, storia di confronto tra padre e figlio dispersi tra i boschi del nord Italia (negli anni ’50, ma è sostanzialmente una vicenda atemporale), a caccia di un gigantesco orso che massacra le greggi ma soprattutto di sé stessi e della risoluzione della loro relazione, interrotta dalla tragica e misteriosa morte della madre. In un momento in cui si parla di ‘rinascita’ del cinema di genere italiano, questo è forse uno degli esempi più calzanti. Non usa attori famosi, non è tratto da fumetti – ma da un romanzo sì. Omonimo, di Matteo Righetto, assente in conferenza stampa perché di mestiere fa l’insegnante e il Preside non gli ha concesso ferie – è costruito finanziariamente con un sistema tutto italiano (RaiCinema, MiBACT, Regione Veneto, Regione Lazio e altri fondi sparsi) e punto tutto sulla potenza della narrazione.
“Per me – dice il regista – è un western alpino. L’idea di fare un film che potesse portare il pubblico in sala nasce ancor prima della realizzazione, anche se chiaramente c’è genere e genere. Ero intrigato anche dall’idea di non dover necessariamente raccontare l’Italia di oggi, i giovani, la crisi. Tutti argomenti che mi stanno molto a cuore ma di cui si è già parlato tanto. Chiaramente sulla base vengono innescati modelli universali, archetipici. Lo scontro di un uomo inselvatichito con la natura, il rapporto tra genitori e figli”.
Il rude genitore, più orso dell’orso che fronteggia, è interpretato dall’attore teatrale Marco Paolini, che partecipa anche in sceneggiatura e produzione: “Non volevo mi vedessero come a teatro – dice l’attore – sarebbe stato sbagliato. Abbiamo costruito tutto sui silenzi, ma nel western c’è anche ritmo. Si va piano e poi si galoppa. Ma gli uomini non galoppano, specie in montagna. Gli orsi invece sì, sono fulmini in salita. Hanno una potenza e una velocità pazzesca, e abbiamo cercato di catturarle. Come fare? Potevamo usare la cgi o i figuranti in costume da orso, ma ovviamente essendo Segato un documentarista abbiamo scelto la strada più difficile: orsi veri, di importazione. Ce n’erano due, uno era il maschio alfa, quello più anziano. Bravissimo, una vera star. Ha una certa stazza, tra l’orso bruno e il Grizzly. Ha chiesto anche chi fossi io, voleva sapere con chi lavorava. Per renderlo minaccioso usavamo le bottiglie di Coca Cola, per cui ha fatto uno spot e ora ne è ghiotto. Agitava le zampe verso di me ma in realtà voleva la bottiglia. Molto professionale, ma non ha più i denti. Così c’è voluta la controfigura, più giovane. Però siccome riconosceva l’altro come maschio Alfa nemmeno scendeva dal camion. Sindacalmente certi giorni era impossibile convincerlo a lavorare. Insomma grande merito agli addestratori. Ci siamo un po’ spaventati perché mentre noi giravamo è uscito The Revenant, in cui Di Caprio fronteggia un orso. Abbiamo detto, ok, la nostra idea è fregata. Ma abbiamo speso un quarto di quello che hanno speso loro, per cui, dopo tutto, ci può stare”.
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