La nuova fase del documentario italiano inizia dal MIA

Al Nuovo Cinema Barberini l'incontro sulle nuove possibilità di un genere in crescita esponenziale


Quali direzioni sta prendendo il documentario in Italia? Cosa migliorare per rafforzare le sue (pressoché infinite) possibilità? In questi due quesiti si potrebbe racchiudere il senso del panel che si è svolto al MIA – Mercato internazionale Audiovisivo sulla “La nuova fase del documentario italiano”. Presenti al confronto Chiara Sbarigia – presidente di Cinecittà SpA (leggi l’articolo con le sue dichiarazioni), Gabriele Genuino – Head of Production Rai Cinema, Gloria Giorgianni – CEO e producer Anele srl, Andrea Occhipinti – CEO Lucky Red, Francesco Virga – Presidente di Doc/it e Fabrizio Zappi – Direttore di Rai Documentari. L’incontro è stato moderato da Angelo Argento – Presidente di Cultura Italiae. Presente al confronto anche la senatrice Lucia Borgonzoni, sottosegretaria di Stato alla cultura per il governo Draghi.

Sono molti gli spunti emersi in questo dibattito che ha coinvolto parti diverse tra loro che hanno convenuto sulla necessità di instaurare un continuo e proficuo dialogo. Si è concordato un obiettivo comune: cercare di far compiere al documentario italiano un passo ulteriore verso l’internazionalità, sfruttando il crescente interesse del pubblico italiano e mondiale. Anche grazie alle piattaforme, il pubblico sta intercettando sempre più spesso il genere documentario, che a sua volta si è aperto a soluzioni più pop, come le docu-serie o le ibridazioni tra fiction e non fiction.

Si è discusso di come siano necessari investimenti più ingenti sul cinema documentario e di una “colpa” dei documentaristi italiani: essere stati, negli anni, troppo bravi a realizzare eccellenti prodotti con bassi (talvolta bassissimi) budget. Questa capacità ha, in un certo senso, “drogato” il panorama produttivo documentaristico, perché ci si è convinti che forse i soldi potevano essere destinati altrove, e che il documentario non ne avesse bisogno. Si tratta, ovviamente, di una boutade, ma che nasconde un fondo (molto concreto) di verità. Se infatti il documentario non deve più necessariamente andare verso una direzione “didattica”, ma può (e anzi è da un pezzo che l’ha fatto) aprirsi persino a una dimensione che contempli l’intrattenimento, allora c’è bisogno di budget che diano la possibilità di farlo, senza perdere una delle caratteristiche più connaturate del genere, la sperimentazione.

È emersa, in tutti e in modo deciso, la volontà di cooperare in modo più sistemico, di instaurare un tavolo continuativo nel quale si discuta del documentario come industria. La frammentarietà è un limite che la produzione di documentari si porta dietro da troppo tempo, ha affermato Giorgianni, e insistere in questa direzione di cooperazione garantirebbe al cinema documentario italiano una costante presenza nel mercato internazionale, dimensione che merita senz’altro.

autore
A.A.
,
11 Ottobre 2022

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