La Guerra fredda di Bob


The Good ShepheredBERLINO. Arriva al festival preceduto dai sessanta milioni di dollari di incassi negli Stati Uniti, e da recensioni divise. Stroncato da ‘Variety’, esaltato dal ‘Los Angeles Times’; bocciato da ‘Rolling Stone’, esaltato da ‘Entertainment Weekly’. Il secondo film da regista di Robert De Niro, The Good Shepherd, sui primi anni di vita della Cia, riceve a Berlino un applauso dettato più dalla buona educazione che dall’entusiasmo. E probabilmente, dopo due ore e quaranta di intrighi internazionali, con un impassibile Matt Damon che non ama sua moglie – una Angelina Jolie che lo aspetta per trent’anni, fedele e rassegnata come nella vita non farebbe mai – e che fa paura a suo figlio, dopo quasi tre ore di impermeabili da uomini veri, camicie bianche, cravatte, dialoghi sussurrati, nazismo, guerra fredda, Baia dei Porci, Kruscev e Truman, si esce un po’ provati.

Pochi minuti dopo, e arriva in sala stampa Robert De Niro. Giacca stazzonata, scarpe da barca che hanno già fatto qualche centinaio di chilometri, pantaloni di un colore che non sta troppo bene con la giacca. Capelli lunghi, grigio argento. L’aria un bel po’ stanca, e poca voglia di spiegare il film. “No, non volevo fare una critica alla Cia – dice – Volevo raccontare come stanno le cose”. La leggenda aggiunge che da diciassette anni De Niro sta studiando i segreti della Central Intelligence Agency. Ma lui, ovviamente, preferisce il profilo basso. “Sono cresciuto durante la Guerra fredda: mi hanno sempre intrigato le storie di spie, agenti segreti, intrighi internazionali. Avrei voluto essere 007, così ho cercato di fare una specie di film di 007, ma realistico”.

La Cia del suo film, gli dicono, somiglia molto alla mafia. Stessa segretezza, stessa capacità di decidere della vita e della morte delle persone. “Sì, se vogliamo si tratta di due società segrete risponde De Niro – Ma nella mafia la famiglia ha una importanza molto più determinante: qui la famiglia viene tenuta all’oscuro dell’attività del padre”. Per sé, De Niro si è ritagliato un breve ruolo da Grande Vecchio: un generale sofferente ai piedi, che dà consigli e ordini con un’immensa stanchezza nella voce. Quasi un Kurz di Apocalypse Now. “Non avevo voglia di perdere troppo tempo con me stesso come attore”, taglia corto De Niro. “Ho deciso di fare quel ruolo per semplificare i problemi. Ci stavamo chiedendo a chi affidarlo, e alla fine ho detto: beh, magari lo faccio io. Ma non mi piace molto dirigermi”. E infine promette: “In questo film abbiamo raccontato la Cia dalle origini fino al 1961. Beh, mi piacerebbe molto fare altri due film. Uno sulla Cia dal 1961 al 1989, cioè fino alla fine della Guerra fredda. E uno dal 1989 al presente”. Con la speranza che non li faccia troppo tardi, come in questo caso, quando svelare i “misteri” della Cia degli anni Cinquanta e Sessanta non sconvolge più nessuno. Il film uscirà in Italia con Medusa il 20 aprile intitolato L’ombra del potere.

09 Febbraio 2007

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