La figlia di Burt Lancaster: “Il gattopardo lo lasciò senza fiato”

Il legame tra il divo americano e l'Italia (da Visconti a Bertolucci a Montaldo) ricostruito nelle parole della figlia, Joanna, presente alla 27a edizione del Festival del Cinema Ritrovato


Nel 1951 Burt Lancaster veniva citato da Anna Magnani nel film Bellissima, dove l’attrice nei panni della popolana Maddalena Cecconi esprimeva tutta la sua ammirazione per il divo che più di tutti in quel periodo rappresentava il volto e il sogno del cinema americano. Quattro anni dopo i due attori si ritroveranno fianco a fianco sul set di un film scritto su misura per la Magnani, La Rosa tatuata, mentre nel 1963 Luchino Visconti lo chiamerà per uno dei ruoli più originali e importanti della sua vastissima e lunga carriera, il Principe di Salina ne Il gattopardo. Poi è arrivato Gruppo di famiglia in un interno, sempre con Visconti e dopo ancora Novecento di Bernardo Bertolucci, La pelle di Lilliana Cavani, Il giorno prima, di Giuliano Montaldo.
Un legame quello che il divo americano ha sempre avuto con l’Italia che la stessa figlia, Joanna, presente alla 27 esima edizione del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna per celebrare i cento anni della nascita del padre ama sottolineare. “Prima di tutto – afferma l’attrice – perché mio padre dopo la morte di sua madre era stato in parte cresciuto dalla mamma di un suo caro amico, che era siciliana e poi perché era un uomo che vedeva il suo lavoro come una sfida continua ed era molto curioso di quello che succedeva al di fuori di Hollywood. Trovava straordinario il cinema del neorealismo e soprattutto ammirava il metodo di lavoro di Visconti”.
Joanna era giovane ma i ricordi più belli sono proprio quelli relativi alla lavorazione de Il gattopardo, film che aveva lasciato Lancaster senza fiato non solo per la storia. L’attore per la prima volta veniva a contatto con l’iperrealismo del regista milanese e non riusciva a non sorprendersi ogni volta che sul set apriva un cassetto e lo trovava pieno di vere camicie di seta. Ma la vera avventura per la piccola Lancaster fu Vera Cruz, il suo primo set, a cui seguì Trapezio, film che ancora oggi porta nel cuore: “fu un’esperienza bellissima. Passavo tutti i giorni a giocare con i domatori e a saltare sulla rete insieme ai clown”. È un ritratto tenero e affettuoso quello che emerge dai racconti di Joanna, che al festival presenterà anche Un uomo a nudo e che mette in luce la grande importanza che aveva la famiglia per l’attore: “Papà cercava sempre di portarci tutti con sé, in certe occasioni si accontentava anche di compensi più bassi, ma l’importante era che la produzione gli permettesse di averci vicino; ed effettivamente me lo ricordo sempre molto presente. Pur facendo l’artista, quando lavorava vicino a casa, la sera era sempre di ritorno”. E poi c’è il Lancaster impegnato politicamente, quello a cui lo star system stava stretto e che fondò addirittura una casa di produzione assieme a Harold Hecht e James Hill, pur di sentirsi libero nelle sue scelte. “Si sentiva investito da una grande responsabilità – spiega ancora Joanna – quella di poter dare voce, grazie alla sua grande visibilità, a chi non aveva opportunità di farlo. Ha partecipato alla marcia di Washington con Martin Luther King e ha sostenuto da subito la campagna di Kennedy”. In un periodo in cui non era facile esporsi politicamente, Lancaster non ha mai preso posizioni di comodo, rischiando in prima persona con film come Piombo rovente, fino ad arrivare a opere apertamente critiche nei confronti del proprio paese, da Sette giorni a maggio a Ultimi bagliori di un crepuscolo. Il Lancaster privato, invece, Joanna lo riconosce nel villain di Vera Cruz, con la sua ironia, e nell’Elmer Gantry di Il figlio di Giuda: “come lui, brutalmente onesto e mai timoroso nell’esprimere il proprio pensiero”.

30 Giugno 2013

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