TAORMINA – Al 69mo Taormina Film Festival si è tenuta la prima assoluta di Cattiva Coscienza, la nuova commedia di Davide Minnella, che fonde il fantastico e il sentimentale, e che sarà nelle sale dal 19 luglio. Con un cast sorprendente che affianca ai protagonisti, Francesco Scianna, Filippo Scicchitano e Matilde Gioli, interpreti come Caterina Guzzanti, Beatrice Grannò, Drusilla Foer, Giovanni Esposito e il grande Alessandro Benvenuti, il film ci porta in un mondo in cui le coscienze – quelle vocine che ci parlano in testa – hanno fattezze umane e vivono in un “Altro Mondo”, dove il loro lavoro viene giudicato in continuazione. Scianna interpreta la coscienza con il punteggio più alto d’Italia che, a causa di un errore, si vede costretto a violare le regole e andare nel mondo reale, per provare a mettere a posto le cose. Si renderà presto conto che la vita e i sentimenti umani – in primis l’amore – sono molto più difficili da gestire del previsto.
Davide Minnella, questa vocina nella testa bisogna seguirla o è meglio ignorarla ogni tanto?
Secondo me è giusto ascoltarla ogni tanto perché il più delle volte dice delle cose sagge, però è anche giusto sbagliare. Il senso del film è proprio sull’importanza dell’errore: nella vita è giusto cercare di seguire una retta via, ma allo stesso tempo in qualche modo è giusto farsi prendere dall’intuizione di dire forse se sbaglio forse qualcosa può migliorare nella mia vita. A volte gli errori ci fanno imparare a essere delle persone migliori. Almeno si spera, insomma.
Qual è la difficoltà di creare un mondo fantastico, con delle proprie regole e un proprio immaginario subito riconoscibile?
È una sfida non facile devo dire. L’obiettivo era quello di unire l’elemento fantastico con la commedia sentimentale. Però cercando sempre di essere veri. Quello che ho chiesto agli attori e di non caricare. Perché quando hai a che fare con il fantastico, tendi a fare un patto con lo spettatore molto particolare, per cui devi entrare sì in questo mondo che io ti costruisco, dove le regole però sono un po’ scritte per impressionare lo spettatore. Io non volevo farlo, volevo dargli la sensazione di vivere un’esperienza reale, dove l’essere umano si confronta quotidianamente con la propria coscienza. E, infatti, non ho calcato tanto la mano sul grottesco, ho cercato di togliere il più possibile perché sono dell’idea che la commedia debba fare ridere chi la vede, non chi la fa.
Sente la responsabilità di scrivere commedie, anche d’amore, che però abbiano in sé temi forti e universali?
Io da spettatore faccio fatica a vedere certe commedie italiane perché, anche se sono ben scritte, è tutto sempre troppo innocuo. Si raccontano storie divertenti senza voler lasciare il segno. Io sono dell’idea che è giusto fare sorridere lo spettatore e, al tempo stesso, cercare di raccontare qualcosa, dargli un significato. Se ci fai caso, nella vita di tutti i giorni si mescolano il dramma, le storie d’amore, i momenti difficili, le preoccupazioni, siamo catapultati in una serie infinita di situazioni. La commedia, spesso e volentieri, racconta tutto in maniera troppo innocua.
Ha un cast meraviglioso. Quanto è importante avere un cast così forte, soprattutto nelle parti secondarie?
In generale, un film viene fatto da una bellissima sceneggiatura, poi deve essere girato bene e, per farlo, hai bisogno di attori importanti. Io sugli attori faccio una ricerca che va al di là dei ruoli dei protagonisti. Cerco sempre di trovare la chicca perché sono uno che dà tanto nella direzione degli attori. È una cosa che mi appassiona come non mai. È una sfida per me cercarli, trovarli e portarli in qualche modo in quella che è la mia direzione. Avere Drusilla, per esempio, è stato complicatissimo, lo stesso discorso per Benvenuti, la sfida era proprio quella: è facile avere dei protagonisti e poi ci si dimentica dei ruoli secondari, che invece fanno la differenza.
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