TORINO. “Il nostro film è ispirato a un fatto vero, la decisione di alcune adolescenti di un liceo di rimanere incinte tutte insieme. Una vicenda accaduta qualche anno fa in una cittadina americana affacciata sull’Oceano Atlantico. Abbiamo trovato delle somiglianze socioeconomiche con la nostra città, Lorient in Bretagna, dove il porto e l’arsenale sono in crisi e la speranza del futuro è svanita”. Così Muriel Coulin esperienza di aiuto operatore con Kieslowski, Malle e Kaurismäki – che insieme alla sorella Delphine, scrittrice, firma il riuscito esordio 17 ragazze in competizione a Torino 29. Il film, prodotto da Denis Frey, storico produttore dei fratelli Dardenne, è passato quest’anno alla Semaine de la Critique di Cannes e presto sarà nelle sale con Teodora.
Si tratta di una commedia senza moralismi, a tratti provocatoria ma ricca di spunti e riflessioni, sull’adolescenza affidata a giovanissime attrici. Alcune già viste come Louise Griberg (La classe) che è Camille, la ragazza leader che lancia la sfida della maternità, Roxane Duran (Il nastro bianco) e Esther Garrel (L’Apollonide). “Nove mesi di casting e provini di seicento ragazze, e la maggior parte di quelle selezionate non avevano esperienza di set. Il lavoro di preparazione si è concentrato sulla vita di gruppo, perché fossero credibili sullo schermo. Abbiamo voluto restituire quella particolare fisicità che le adolescenti vivono quando stanno insieme”, spiega la regista.
Le 17 adolescenti, ancora studentesse dello stesso liceo, scelgono dunque un gesto di ribellione eclatante, senza ritorno come la maternità, con il sogno di far crescere i loro figli tutte insieme. Il progetto è quello di aiutarsi l’un l’altra e perpetuare il gruppo che le lega e le protegge dal futuro già segnato e senza prospettive: il diploma, un qualsiasi lavoro, il matrimonio. “Del fatto di cronaca è rimasto ben poco nella nostra opera prima che è il mix della documentazione da me raccolta sul mondo delle adolescenti, che conoscevo poco, e dell’immaginario di mia sorella Delphine”.
Il mondo maschile e quello adulto agisce sullo sfondo del film, ma sembra non offrire una via d’uscita credibile a quello che pare all’inizio una provocazione. I ragazzi coetanei sono solo testimoni di quel che accade, mentre i genitori e i professori alternano la ricerca di ragioni plausibili di quel comportamento con il rifiuto netto e la distanza. “In primo piano ci sono queste ragazze con la loro utopia di una comunità, di una vita collettiva fatta di solidarietà e amicizia. Hanno l’età in cui si vivono grandi sogni, ma si è troppo giovani per farli diventare realtà. Perciò non le giudichiamo – chiarisce ancora Muriel Coulin – Gli adulti sono smarriti, non è facile per loro contenere e accettare quella enorme energia. Solo il fratello maggiore di Camille è l’unico personaggio che comunica con lei adolescente, è il suo alter ego nel quale si specchia”.
I temi affrontati in 17 ragazze sono quelli che le due autrici hanno già affrontato nei loro cortometraggi: il corpo, la femminilità, il trascorrere del tempo così diverso per le donne. “I corpi di Camille e delle sue amiche sono alterati dal tempo e dalla gravidanza, ma danno alle ragazze il potere di confrontarsi con gli adulti e con i coetanei, permettono loro di attirare l’attenzione, crescere e definire se stesse”.
E a chi chiede perché quel finale, senza happy end, la regista risponde che è quello più adatto “per rimanere nell’ambito della favola quale è in fondo il nostro film”.
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