Il mostro della Laguna nera è il riferimento più evidente, e dato che ci troviamo in laguna da lì a parlare di mostri di bravura è un attimo. Ma c’è anche molto altro in The Shape of Water di Guillermo Del Toro, racconto fantasy-dark in concorso alla Mostra, che ha vinto il Leone d’oro a Venezia e ora arriva in sala, a partire dal 14 febbraio: la Bella – anzi, la bruttina, una sensazionale Sally Hawkins – e la bestia, Il Capitano Achab e Moby Dick, perfino un tocco di La La Land in una surreale scena di ballo con il ‘mostro’. Musica, mistero, noir, spy-story, action e sentimenti, e naturalmente le suggestioni dei fumetti di Mike Mignola – per cui il regista ha adattato a suo tempo Hellboy – una miscela esplosiva che data in mano a qualsiasi altro cuoco avrebbe rischiato di stomacare, ma la grazia di del Toro e la sua capacità visionaria rendono scorrevoli anche i momenti in cui si richiede maggior ‘sospensione dell’incredulità’, e mai un titolo fu più adatto, anche artisticamente parlando, perché il regista riesce davvero a dare una forma a un flusso di pensieri e suggestioni trasparenti e sfuggevoli come l’acqua.
Non è nella trama che si riscontrano gli elementi originali del film – anche se un paio di colpi di scena non mancano – ma piuttosto nell’equilibrio e nel ritmo pressoché perfetti. Siamo nel 1963, negli USA, una umile ragazza muta che lavora come donna delle pulizie presso un grande centro scientifico scopre che in una stanza è tenuto prigioniero un uomo-pesce, venerato dagli indigeni come un dio ma che per gli americani significa sperimentazione spietata e corsa agli armamenti, in piena epoca di guerra fredda. Lei diversa, lui diverso, entrambi incapaci di parlare il linguaggio degli uomini ma empaticamente collegati, finiranno con lo sviluppare il più curioso dei rapporti sentimentali e, per una volta esplicitamente, anche sessuali. A fronteggiare il villain Michael Shannon, capo della sicurezza del centro a cui la Creatura ha portato via due dita con un morso, ci sono due amici (interpretati da Richard Jenkins e Octavia Spencer), tutti emarginati come loro, per qualche motivo. E’ una storia di solitudini, comprensione e affetto reciproco.
”Il modo migliore per raccontare le cose, anche quelle serie, è la favola – dice oggi al Lido il regista messicano – Verso le favole gli adulti non hanno difese. Appena dici ‘c’era una volta’ tutti si lasciano andare. Nonostante sia un film d’epoca, tratta in fondo di argomenti contemporanei. L’America di oggi non è molto diversa di quella di allora, c’è ancora il razzismo, il sessismo e la paura del futuro, ma per fortuna anche l’amore che è la forza più grande del mondo. E’ un film completo: si balla, si fa sesso e c’è anche una deriva politica, quella dell’amore che vince sulla paura. Non lo abbiamo approcciato in maniera puritana. Elisa fa sesso, si masturba, e tutto questo in modo naturale. Il dio-pesce non ha un nome, volevo fosse così. E’ solo un essere che per molti è una cosa sporca e, per altri, un essere sacro. Diciamo che è come il protagonista di Teorema di Pasolini”. Per quanto riguarda il progetto su Pinocchio: ”sono dieci anni che cerco finanziamenti – dice – e ho già pronte marionette e disegni, ma per tutti i film che voglio fare mi complico sempre la vita. Ho avuto molte telefonate dagli Studios per il mio Pinocchio ‘antifascista’ (il film è ambientato in Italia tra le due guerre), ma poi non se ne fa più nulla”.
Proprio Sally Hawkins, tra l’altro, aveva scritto prima di Del Toro una breve sceneggiatura per un corto in cui una ragazza si innamora di un tritone: “quando Guillermo mi ha spiegato cosa avrei dovuto interpretare, sono rimasta a bocca aperta, mi è caduto il telefono dalle mani”.
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