‘L’amica geniale’, stagione 3: “amicizia” femminile negli anni 70

La terza stagione della serie tratta dai romanzi di Elena Ferrante parte domenica 6 febbraio alle 21.25 su Rai 1


Elena e Lila sono diventate donne: Lila si è sposata a sedici anni, ha un figlio piccolo, ha lasciato il marito e l’agiatezza, lavora come operaia in condizioni durissime; Elena è andata via dal rione, ha studiato alla Normale di Pisa e ha pubblicato un romanzo di successo. Ora navigano nel grande mare aperto degli anni 70, uno scenario di speranze e incertezze, di tensioni e sfide fino ad allora impensabili, sempre unite da un legame fortissimo e ambivalente.

Con questo status si presenta l’evento in 4 serate, terza stagione dell’acclamata serie L’amica geniale, titolata Storia di chi fugge e chi resta, in prima visione su Rai 1 da domenica 6 febbraio alle ore 21.25.

Stefano Marroni, vice direttore comunicazione Responsabile Press & Media Office · Rai – Radiotelevisione Italiana modera la conferenza.

Le interpreti sono sempre Margherita Mazzucco e Gaia Girace.

Maria Pia Ammirati – Direttore Rai Fiction apre le danze specificando “è un grande orgoglio per noi l’approdo alla terza stagione, si parte dove eravamo rimasti con la seconda, un grande successo con 28% di media d’ascolto e un incremento di più del 30% di giovani che la seguono e che si aggiungono ai grandi affezionati, forse complici le due attrici Gaia Girace e Margherita Mazzucco ma anche agli sceneggiatori Francesco Piccolo e Laura Paolucci. La serie è coprodotta con HBO e questo spiega quanto sia straordinaria, e ci affiancano Wildside Fremantle e Fandango. Sono gli anni 70, l’affermazione del femminile, con uno stacco di regia che segna l’arrivo di Daniele Luchetti che aggiunge luce e colore. Le ragazze hanno avuto il coraggio di crescere nella serie personificando il meccanismo duale di amicizia, di amore e odio realizzato in un contesto femminile che vede la rottura della tradizione. Ho pensato ai romanzi ma anche a mia madre, che era di quegli anni e ha fatto quel percorso. Un percorso di adattamento difficile e doloroso. Passare da famiglie tradizionali, costrittive e violente all’autonomia era una spinta nata da un desiderio potente che prima non esisteva”.

Luchetti subentra alla regia indicato proprio dall’”ideatore” della serie – notoriamente tratta dai romanzi della misteriosa Elena Ferrante – Saverio Costanzo. “Quello che mi sono chiesto – dice Luchetti – era come potessi apportare qualcosa di nuovo. Puoi essere in competizione con chi ti ha preceduto, autosabotarti o peggio. Io ho semplicemente fatto quello che faccio sempre, seguire i personaggi ed esporli emozionalmente davanti alla macchina da presa. Le sceneggiature erano ottime ma rischiose, si prendevano libertà e si mettevano a rischio reiterazione, sembravano corte, come potevo farle durare 50 minuti? E mi sono dato il compito di entrare nel respiro e nel ritmo della famiglia, far respirare i personaggi anche al di là del copione, come negli anni 70, lavorando sugli attori come se stessero improvvisando e documentando quello che succede. Un metodo che chiamo ‘alla Cassavetes’, anche in linea con l’esigenza di tempi veloci, dovuti anche alla stanchezza, alla presenza delle mascherine sul set. Leggevo poi informazioni sui siti dei fan de L’amica geniale e c’erano elementi non corrispondenti alla realtà. Pensavano che le due attrici fossero state sostituite… e non era vero. Ci abbiamo pensato, ma era troppo presto per lasciarle. Sapevo che avrebbero potuto reggere la loro storia sulle loro spalle senza scricchiolare. Margherita e Gaia sono cambiate e invecchiate solo tramite il talento, senza trucchi o effetti speciali. Nessuno può sapere se questo racconto sia autobiografico, non conoscendo l’identità di Elena Ferrante, ma credo che sia un’autobiografia ‘di tutti’. A volte come regista devi rispondere anche a domande che nessuno si aspetta. Come si gestisce un neonato che piange? Come in tutte le famiglie, dopo un po’ li si lascia piangere, e così sul set. Durante le manifestazioni, gli attori gridavano slogan ma non sapevano di cosa si trattava. E allora col megafono li ho motivati, come in una vera manifestazione. Così diventavano entusiasti, ho ricreato l’energia allegra del ’68 non su un singolo attore ma su una massa, e spiegare a Margherita come si lavano i piatti. Sono stato maschio negli anni 70 e c’era quasi da sentirsi in colpa, girando ho scoperto perché i libri della Ferrante mi riguardassero strettamente”.  

La sceneggiatrice Laura Paolucci  dice “ci siamo rivolti agli anni 70, ma ci siamo anche trovati di fronte alla necessità di tradurre in dialogo quello che la Ferrante racconta in maniera indiretta. Alcune parola, alcuni slogan li avevamo dimenticati e spesso ci hanno fatto paura, come “lotta sociale” o “ascensore sociale”. Abbiamo studiato materiale di repertorio, sono anni a noi vicini. Non avevo l’età delle nostre protagoniste ma me li ricordo bene. Reintrodurre queste parole che fanno paura significa reintrodurre anche dei concetti e per i ragazzi che vedranno questa serie, portarli a porsi delle domande. Elena sta per sposarsi e Lila lavora in fabbrica, soffrendo. Mi sono chiesto se per i giovani di oggi ci sia un cambiamento rispetto a quelle stesse domande. Non vogliamo conoscere né incontrare Elena Ferrante, questi scritti che arrivano, il contributo sulle sceneggiature ci soddisfa già così. Conosciamo una voce che è anche un suo personaggio, che ha a che fare coi romanzi. Il modo in cui ci scrive risuona con la voce della sua scrittura. Abbiamo liquidato il problema di chi sia la Ferrante all’inizio della lavorazione, non ce lo poniamo più”.

Per l’altro sceneggiatore Francesco Piccolo “l’esperienza è stata anomala ma anche protetta dai romanzi della Ferrante. Anche i produttori stranieri erano ospiti di una cultura fortemente italiana e napoletana, ma l’anomalia rispetto a come si lavora di solito è stata lavorare insieme al regista e costruire con lui un immaginario comune. Qui siamo a metà tra serie tv e cinema, un valore grande anche rispetto ad altri prodotti analoghi. Abbiamo sempre avuto un confronto aperto coi produttori ma c’è stata anche un’impostazione accolta fin dall’inizio, circa l’immaginario, che costituisce la forza di questo racconto, e che corrisponde il più possibile all’immaginario della Ferrante che era però teorico e non visibile. Continueremo ad attraversare anni e stagioni arrivando vicini a noi. Il rapporto con Elena Ferrante è di grande vicinanza, è totalmente dentro, ci osserva e ci fornisce suggerimenti, ci ha studiati, perché il suo timore era capire che rapporto ci sarebbe stato tra il libro e la serie. Una volta sentito che il rapporto era virtuoso e di vicinanza, e che modificavamo solo quanto necessario a rendere il tutto fruibile per la grammatica del cinema e della tv ha accolto ogni nostro movimento. Siamo andati tutti nella stessa direzione. Non firma le sceneggiature solo per una questione contrattuale, sta con noi quando scriviamo”.

Gaia Girace, interprete di Lila, sottolinea: “ho fatto tanta strada e tanta ancora ne devo fare. Devo crescere e studiare ma ora continuo a lavorare e piacere, tante persone mi stimano. Ma è un po’ difficile il rapporto con i coetanei, sono timida e riservata e le persone mi vedono prima come un’attrice e poi come una persona, mi tengo strette le amicizie più vere. L’amicizia femminile è difficile, si cresce insieme ma c’è anche tanta competizione, anche di questo parla il libro. Per un periodo, essendo cresciuta sul set, nemmeno ero sicura di voler continuare a fare l’attrice, ma in questa terza stagione il clima era molto leggero e questo mi ha chiarito le idee. Sto diventando meno impulsiva, rispondo con il sorriso a chi è aggressivo, come mi ha insegnato mio padre. Cerco di gestire la mia ansia e diventare più tranquilla. La serie può fare lo stesso per altri, può sostenere i ragazzi che oggi finalmente si fanno coraggio e provano a rivendicare dei diritti”.  

Margherita Mazzucco, la Lenù della serie, racconta: “la parte più divertente è quella familiare, con mio marito e le mie bambine, e sembrava di non lavorare, proprio perché le bambine erano piccole il clima era leggero, quasi un gioco, sembrava di dover realmente gestire una famiglia. Sono andata in crisi, avevo a che fare con i neonati. Ho imparato a essere immune al pianto dei bambini e con la più piccola ho imparato anche a giocare, mi chiedevano di stare insieme, di andare in bagno insieme, una sfida ma anche molto interessante. Elena viene in contatto con il movimento femminista, scrive un libro, in questo senso è un personaggio moderno e molto attuale. Per quello che riguarda Elena e Margherita, hanno un rapporto raro e profondo, ma non è propriamente un’amicizia, è uno sfidarsi continuo, un amore odio e un rincorrersi a vicenda”.  

Lorenzo Mieli, produttore per Fremantle, dice “tutto questo si accompagnava a una sfida pratica e produttiva. Girare durante il Covid, che rappresentava una frattura anche nel contesto della produzione. La serie è vista in più di 130 paesi ed è stata un successo enorme di critica e pubblico in Nord America, ma anche in Cina dove c’è stata una mostra dedicate. E’ un progetto realmente internazionale, regge la sfida perché oggi si fanno uso e abuso di alcune parole o dogmi della narrazione in serie e nel cinema: autenticità, femminile… ma la Ferrante questi temi li prende sul serio e li tratta in maniera anti-ideologica, e profondamente”.

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26 Gennaio 2022

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