La dodicesima edizione di CiakPolska in corso a Roma fino al 17 novembre, propone oltre al cinema polacco contemporaneo anche una rassegna di Grandi classici, al Palazzo Esposizioni. Dagli Studi cinematografici WDFiF di Varsavia arrivano otto titoli del passato in versione restaurata. Ne sono autori maestri come Krzysztof Kieślowski, Andrzej Wajda, Agnieszka Holland, Andrzej Żuławski, Jerzy Kawalerowicz, Wojciech Jerzy Has, Kazimierz Kutz. Tra questi anche Krzysztof Zanussi che presenta il suo Colori mimetici (1976), riflessione sottile e a tratti satirica sul tema del conformismo.
CiakPolska propone il suo film del 1976 Colori mimetici, un’opera che ha lasciato un segno importante perché insieme a L’uomo di marmo di Wajda è considerata iniziatrice di una linea del cinema polacco, quella dell’inquietudine morale.
Direi che i quarant’anni della supremazia comunista in Polonia sono stati marcati dalla battaglia tra liberali più aperti e conservatori rigidi che volevano creare un sistema totalitario perfetto. In quel momento, a metà degli anni ’70, c’era un confronto forte tra queste due correnti accentuato da un grande contrasto tra gli ideali del comunismo e la realtà del governo totalitario. Noi registi abbiamo capito che l’ala più liberale dell’establishment comunista era pronta a tollerare questi film che ritraggono la corruzione della società, mentre i loro oppositori pensavano che qualsiasi denuncia dell’imperfezione del sistema lo indebolisse e dovesse quindi essere vietata. Tra l’altro nel mio film si vede la scultura del protagonista del film di Wajda, è un piccolo segno di solidarietà perché abbiamo girato nello stesso momento e sapevamo di avere qualcosa in comune.
Quindi c’era già questo sentimento di far parte di un movimento artistico.
Sicuramente abbiamo pensato che il nostro lavoro fosse un passo verso una maggiore libertà di espressione con la possibilità di criticare il sistema. Invece hanno vinto i duri con una politica molto perfida perché cercavano di dividere noi artisti dicendo di poter tollerare alcuni e non altri. Ma tutto questo appartiene al passato e io mi sento come un oggetto museale importato in Italia per rappresentare tutti i miei colleghi defunti.
Agnieszka Holland è ancora viva e molto attiva.
È stata la mia assistente ed è un’amica da sempre.
Tra le persone che sono mancate c’è Jerzy Stuhr, che tra l’altro era protagonista del Cineamatore di Kieslowski e ha lavorato molto in Italia.
Sì, era anche nei film di Nanni Moretti. Malgrado tutti gli ostacoli, noi polacchi abbiamo sempre cercato legami con l’Occidente e con la sua cultura. Stuhr ha preso parte a parecchi miei film, abbiamo avuto anche un progetto teatrale insieme. La sua scomparsa è stata prematura e dolorosa. Era anche scrittore e ha fatto un bel ritratto della sua malattia in una prospettiva profonda e umana, credo che con il suo libro abbia aiutato molti malati. Non ci sono attori come lui, non somigliava a nessun altro. Aveva anche un grande senso dell’umorismo tipico delle persone intelligenti.
Lei ha un rapporto importante con l’Italia oltre ad avere origini italiane, e so che il suo prossimo film sarà una coproduzione con il nostro paese con la Revolver di Paolo Spina con cui ha già collaborato.
Lo spero, gli ultimi tre film hanno sempre avuto una coproduzione italiana sia pure minoritaria. L’Italia è un paese che mi è molto caro.
Vuole anticipare qualcosa su questo nuovo progetto?
Sono qui a Roma per CiakPolska ma anche per una sessione in Vaticano perché il mio film è sul martirio civile, parla di qualcuno che è pronto a offrire la propria vita per la vita di un altro uomo, qualcosa di completamente inattuale oggi. Probabilmente sarà il mio ultimo lungometraggio, vista la mia età avanzata e voglio fare qualcosa di provocatorio. E’ la stessa domanda che poneva Albert Camus ne La caduta, quindi ritorno a un tema che non è mai tramontato nella riflessione umana.
Nel suo cinema pone costantemente delle domande morali che ci interrogano su scelte non scontate.
Per me il progresso è crescita dell’umanità e questa crescita riguarda le scelte più nobili che le persone possono prendere. Questa è l’unica misura del progresso che posso accettare. Il progresso materiale è importante, certo, in molti paesi abbiamo superato la fame, il freddo e la paura, e questo è un grande passo avanti dell’umanità. Ma la vera misura è la morale: fino a che punto siamo in grado di sacrificare qualcosa per i nostri ideali?
Sta per iniziare il Giubileo. Lei ha sempre avuto un rapporto saldo con la Chiesa cattolica. Tra l’altro ha fatto anche un film, Da un paese lontano proprio sul papato di Wojtyla. Come vive questo appuntamento?
Credo che nella Chiesa di oggi ci siano tanti punti interrogativi. Tra questi considero le indulgenze, che sono legate all’Anno Santo. Ho molti dubbi e penso che la Chiesa debba fare una revisione di certi pareri perché non mi sembrano adeguati alla realtà biblica che è la base. Nella Bibbia non si parla delle indulgenze.
Lo diceva anche Martin Lutero.
Per aiutare la Chiesa ci vuole Francesco d’Assisi. Però se non arriva Francesco, può arrivare un altro Lutero e il confronto sarà più duro.
La Chiesa deve essere costantemente riformata.
Questo è un principio di Sant’Agostino, un po’ dimenticato.
Mi pare che Papa Francesco vada in questa direzione, per esempio con le aperture sui temi etici e civili.
Sì, ma c’è dietro una macchina molto pesante che tuttavia assicura la stabilità della Chiesa. Non possiamo criticare tutto perché la stabilità è un valore che la gente ricerca in questo mondo confuso. Ma ci sono grandi problemi con l’annullamento dei matrimoni, con le indulgenze, con il ruolo dei laici che dovrebbe essere ovvio, mentre c’è un’inerzia del clericalismo. I credenti stessi delegano tutte le decisioni al clero.
Parlava del tema del sacrificio che affronterà nel suo prossimo film, tuttavia viviamo in un mondo che sembra estremamente arido e legato soltanto a interessi materiali, al punto da arrivare a guerre e conflitti armati.
Vivo in Polonia e siamo molto vicini a quelle esplosioni, alle case che bruciano, ai civili uccisi. Questa guerra è un fatto reale ed è un dolore e una sofferenza enorme. Credo che questa sia l’ultima guerra coloniale in Europa. Ci vuole un appoggio morale e fisico per la libertà del popolo.
In questo gioca il ruolo debole della politica internazionale.
Sì, soprattutto come cristiani. C’è un teologo ceco, padre Tomas Halik, che ha coniato l’espressione “cristianesimo con la pancia piena”. La pancia piena è un peso che limita la libertà del sacrificio, dell’impegno, dell’attività veramente profonda che questa guerra ci chiede. La tolleranza del male è partecipazione al male.
La XII edizione del festival dedicato al cinema polacco si svolgerà dall’8 al 17 novembre a Roma