Konchalovsky: “Una tragedia greca nell’Urss del ’62”

Cari compagni! di Andrei Konchalovsky, in concorso a Venezia 77, è basato su un fatto realmente accaduto a Novocherkassk il 2 giugno del 1962, durante gli anni di Kruscev


VENEZIA – “Oggi il lieto fine è un miracolo”, così il regista russo Andrei Konchalovsky commenta la chiusa del suo Cari compagni! in concorso a Venezia 77. E’ l’unico riferimento al presente dopo aver evitato ogni domanda sulla Russia contemporanea con i suoi molti misteri: in conferenza stampa il cineasta è apparso piuttosto laconico.

“Volevo fare un film sulla generazione dei miei genitori, quella che ha combattuto ed è sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale con la certezza che si potesse morire ‘per la Patria, per Stalin’ e con una fiducia incondizionata negli ideali del comunismo: milioni di persone che cercavano di fondare una nuova società. Ho voluto ricostruire con la massima accuratezza un fatto realmente accaduto e un’epoca in cui la storia rivela l’incolmabile divario fra gli ideali del comunismo e la drammatica realtà dei fatti. Questo film è un tributo alla purezza di questa generazione, ai suoi sacrifici e alla tragedia che ha vissuto nel veder crollare i propri miti e traditi i propri ideali”, scrive nelle note di regia.

Il film, prodotto con il sostegno del Ministero della Cultura della Federazione Russa, è basato su un fatto realmente accaduto a Novocherkassk il 2 giugno del 1962, durante l’era Kruscev, e secretato fino agli anni ’90. Solo nel 1992 venne avviata la prima inchiesta sulle vittime del massacro che erano state occultate in tombe comuni sotto falso nome perché non venissero mai ritrovate, mentre tutti i testimoni erano stati costretti a mettere nero su bianco la consegna del silenzio assoluto. I principali sospetti fra gli alti vertici governativi erano già morti, quindi i responsabili non sono mai stati condannati.

Il film si concentra su una tragedia privata: Lyudmila (Julia Vysotsakaya, moglie del regista), è membro attivo del partito comunista locale, animata dalla più grande fede negli ideali socialisti e inamovibile nelle sue convinzioni. E’ una privilegiata: nella prima scena la vediamo scavalcare la fila per approvvigionarsi di cibo, sigarette e liquori sotto banco. Ma quando in città gli operai della fabbrica di locomotive, in seguito alla riduzione degli stipendi e al rincaro dei generi alimentari, si ribellano e il KGB spara sui dimostranti, Lyudmila si trova improvvisamente dall’altra parte della barricata, scaraventata dentro un incubo. Sua figlia, una operaia 18enne, è scomparsa. Inizia per la donna un’affannosa ricerca in una città bloccata dal coprifuoco e da dove nessuno può uscire. Tra ospedali, camere mortuarie e cimiteri, Lyudmilla è accompagnata da un funzionario del KGB che sembra provare qualche sentimento nei suoi confronti e che cerca di aiutarla. La ragazza è scomparsa, forse uccisa, come tanti altri manifestanti. Ma almeno Lyuda vorrebbe trovarne il corpo

In un sontuoso bianco e nero, Cari compagni! ricostruisce il clima dell’epoca e le “contraddizioni in seno al popolo”, con tanti nostalgici di Stalin, ma anche afflati religiosi che riaffiorano nei momenti di cupa disperazione. “Stalin – ci tiene a precisare il regista – oggi è percepito diversamente da come era allora, un po’ come accade a voi per Togliatti e Gramsci”.

Cari compagni! – spiega ancora Konchalovsky a chi gli chiede se dobbiamo aspettarci un autunno caldo post Covid -non è un film sulle rivolte sociali, ma solo su un fatto storico. La storia è un ciclo in cui tutto torna e non c’è sempre un miglioramento, ma alti e bassi. Una cosa è, però, certa: il potere ha un solo obiettivo: mantenere se stesso”.

Mentre il leader russo Putin non viene neanche nominato, Konchalovsky insiste sulla qualità di tragedia greca di questa sua opera: “Mi interessa analizzare come le persone hanno vissuto questa tragedia, in questo caso una donna, ferma sostenitrice delle idee comuniste. Per me è un archetipo, come Antigone, Amleto o Don Chisciotte. Trovare collegamenti con le vicende contemporanee, sta allo spettatore, non all’artista”.

La protagonista Julia Vysotsakaya rivela di aver recitato con molti non professionisti: “Konchalovsky ama lavorare con non attori che trasmettono verità, per me è stato uno sforzo grandissimo, ma anche molto bello trovare la musica delle loro parole”.

Il regista ha una lunga storia d’amore con la Mostra di Venezia, qui ha portato ben sette opere, ha vinto un Leone d’argento Gran Premio della Giuria nel 2002 per La casa dei matti, poi il premio per la miglior regia nel 2014 per The Postman’s White Nights e nel 2016 per Paradise. “La mente umana – afferma – oggi è completamente disturbata da internet. Ci sono troppe informazioni, ma non per educare, e così alla fine la verità diventa banale”. Nel suo futuro c’è un film sul lockdown in Russia: “Sto raccogliendo testimonianze di più persone e credo che verrà fuori una cosa divertente. La pandemia non può non influenzare la nostra vita, è stato un imprigionamento molto interessante, cosa ne uscirà dobbiamo ancora capirlo”. Ma nel futuro teme soprattutto per il teatro: “Credo che il cinema alla fine ce la farà, al limite vedremo i film nel nostro letto, ma per il teatro è diverso, non si può fare a casa”. 

07 Settembre 2020

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