Il vero nome di Kim Wexler è Kimberly, ma sono pochissime le persone che la chiamano così. Quando era piccola, viveva con sua madre ed era abituata a trasferirsi in continuazione. Ha scelto di studiare legge innanzitutto per andarsene, per allontanarsi dalla sua famiglia. Ma dentro di lei c’è sempre stato qualcosa – un desiderio, una spinta – che le diceva di osare, di andare oltre, di fare esattamente quello che voleva fare.
Non è corretto, ora, definirla come una ribelle. Ma Kim ha cercato in ogni situazione il brivido – e poteva arrivare con una vittoria in tribunale o seguendo Jimmy McGill in uno dei suoi piani. Kim non è una sprovveduta. E non è nemmeno ingenua. Ha toccato con mano la durezza della vita, la sua complessità, e sa come muoversi. Sa, soprattutto, cosa dire. Per molto tempo, è stata vista come una figura secondaria, quasi come una comparsa. Ma Kim è padrona di sé stessa e della sua vita, ed è intervenuta esattamente quando pensava di volerlo fare – che è diverso, attenzione, da “doverlo fare”.
Quando sente di essere sul punto di perdere il controllo, indietreggia. E quando non riesce a prevenire, non ha problemi a curare. Kim, però, resta una donna, un essere umano. E ha paura, si innamora, ha desideri. Quando non le viene riconosciuto il suo lavoro e il suo valore, non è contenta. Quando, per farsi notare, deve alzare i toni, esporsi e affidarsi a qualcuno come Jimmy, non prova nessuna incertezza. È metodica, Kim. E precisa. Conoscere le regole è un ottimo modo per sapere come fare per arginarle, per volgerle a proprio favore. E ogni tanto, ciclicamente, torna la voglia di provare qualcosa di più profondo e intenso e di sentirsi viva – presente e assente a sé stessa, al comando e allo stesso tempo in balia degli eventi; eccitata per esserci, eccitata per non sapere cosa, dopo, arriverà.
Kim impara a conoscere anche i rischi di queste emozioni. Che non sono naturali e nemmeno così comuni. Sono, in qualche modo, artificiosi: pompati dall’adrenalina, distorti dall’eccezionalità di determinate situazioni. Arrivano come un fiume in piena e minacciano costantemente di travolgerti, di non lasciare niente della persona che sei: ma solo macerie emotive, terribili e prossime a franare. Kim prova il terrore vero, che è quello di morire; e lo prova subito dopo essersi sentita invincibile, furbissima, capace di avere e ottenere qualunque cosa.
Vede uno dei suoi ex-colleghi morirle di fronte, e non sa cosa pensare. Dove rifugiarsi. Annaspa. Non le manca solo l’aria; le manca la solidità di un lavoro sicuro, di una vita piatta e ripetitiva, di una libertà solo desiderata e mai vissuta. Attraversa le pene dell’inferno, Kim, come un personaggio shakespeariano. E alla fine ne viene fuori diversa e uguale, più matura e preparata ma anche più fragile. In un certo senso, è lei la vera protagonista di Better Call Saul e non il Jimmy McGill di Bob Odenkirk.
Rhea Seehorn, che la interpreta, ha saputo darle una vita, una credibilità e un carattere precisi; è stata lei, con il suo mestiere, a permettere a Kim di continuare a esserci e di non venire tagliata dopo le prime puntate. Kim non è semplicemente l’altra faccia della medaglia: segue, rispetto a Jimmy, un percorso inverso e parallelo. E se prima è tutto ciò che credeva di dover essere, alla fine – poco prima della fine, almeno – diventa tutto ciò che sente di poter essere. E la differenza sta proprio qui: tra dovere e potere, tra sentire e credere. Pancia e testa, cuore e anima.
Un personaggio così complesso e sfaccettato, così – perdonate la banalizzazione – vero, è una rarità. Anche oggi, anche nella serialità più recente, anche dopo una serie come Breaking Bad, che a Better Call Saul ha dato i natali. La scrittura di Peter Gould e Vince Gilligan è talmente piena, talmente ricca, che non ha senso provare a parlarne separandola da tutto il resto: è tutto il resto, ed è pure Kim. Che parla una lingua comune, universale, che prova sentimenti che tutti proviamo. E che è felice, triste, combattuta, spaventata, eccitata, curiosa.
Fumare una sigaretta diventa un modo per sottolineare le pause, per dare maggiore enfasi alle battute; la dimensione del racconto, in questi momenti, si contrae e diventa teatrale – nel senso effettivo del termine, di dimensione. E Kim, che divide la scena con Jimmy, ritorna al suo centro, alla sua vera natura. E quando un sorriso spezza la serietà tesa del suo viso, tutto ha un nuovo significato. Rhea Seehorn, questa magia, è riuscita a farla senza apparente fatica. E invece in ogni espressione, gesto e tentennamento c’è il mestiere dell’attrice, di chi non aspetta altro che poter essere altro. È una vita che vale la pena di vivere, questa, dentro e fuori il set: è una vita da protagonista.
Tra i medical drama e le serie che parlano di medici e medicina, House continua a essere un unicum
Alla scoperta del personaggio interpretato da Jeremy Allen White, uno dei principali motivi del successo della pluripremiata serie tv
Ci sono un prima e un dopo Walter White. E non lo diciamo noi; lo dicono i fatti. Walter White è diventato un simbolo, la rappresentazione stessa della dicotomia tra...
Interpretati ambedue da Luigi Lo Cascio, Nino Scotellaro e Balduccio Remora sono le due facce della stessa medaglia della serie di Prime Video