Jonathan Wang, il produttore premio Oscar fan di Fellini, Sergio Leone e ‘Ladri di biciclette’

L’intervista al produttore di 'Everything Everywhere All at Once', film che per Spielberg ha cambiato la Storia del Cinema e che ha vinto 7 Academy Award. Wang, a #Giffoni54, racconta il suo rapporto con i “Daniels”, la musica e l’industria cinematografica statunitense


GIFFONIJonathan Wang, classe 1984, produttore di Everything Everywhere All At Once (2022), diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert, i “Daniels”, con cui hanno conquistato 7 statuette Oscar, è ospite di #Giffoni54, un’occasione per incontrare a quattr’occhi l’uomo dietro all’ascesa globale di un film indie, che ha conquistato vette altissime, con pochi precedenti affini.

Jonathan, lei è arrivato alla punta massima del cinema vincendo l’Oscar, mentre a Giffoni c’è la base di tutto quello che potrebbe essere il cinema di domani: da un confronto con bambini e adolescenti, cosa desidera assorbire per il suo lavoro e cosa desidera cercare di trasmettere, affinché chi davvero vorrà fare il mestiere del cinema possa confrontarsi con un sogno concreto?

Sono molto emozionato di avere la possibilità di poter parlare a un pubblico così giovane, anche perché all’età che hanno i giurati di Giffoni ci sono ancora mille possibilità per il loro futuro: tra l’altro noi, nel nostro film, raccontiamo le più disparate possibilità per affrontare la vita e quindi il fatto che i bambini oggi, seppur amanti del cinema, non abbiano ancora idee chiare lascia spazio a tantissime cose, e sono certo potranno portare cambiamenti positivi nel mondo dal punto di vista culturale. Sono molto, molto contento di essere qui.

Everything Everywhere All at Once è un film indipendente, un film coraggioso. Quanta consapevolezza aveva delle potenzialità, soprattutto perché è un film di genere e molto variegato, dalla fantascienza alle arti marziali?

Una cosa del genere è difficile ce la si possa aspettare nella vita: anche quando parlavo con altre persone in fase di produzione non riuscivamo a prevedere l’esito che avrebbe avuto, e ovviamente non ci aspettavamo un successo del genere; sapevamo fosse un buon film, senza dubbio, però ci siamo davvero resi conto di questo alla fine, quando è andata come è andata…

Lo considera un film generazionale, rispetto alla capacità di visione? Le domando questo perché è successo, almeno in Italia, che diverse persone più adulte non siano riuscite a restare fino alla fine, abbandonando la sala difficoltà a seguirlo.

Credo siamo riusciti a catturare, in un certo senso, cosa voglia dire vivere nel mondo di oggi perché i ritmi del film riflettono bene i ritmi della nostra vita quotidiana, quindi posso intuire la sua considerazione. Ricordo che alla Notte degli Oscar, Spielberg mi chiama e mi dice: ‘adesso, in questo momento, non te ne stai rendendo conto, non lo puoi capire ma, tra 20 anni, capirai che avete cambiato la Storia del Cinema”. Io, ancora oggi, non ci credo più di tanto.

Quanto conosce il sistema del cinema italiano? Lei, da produttore, ha vinto un Oscar prima dei 40 anni; in Italia, molto spesso, chi volesse fare il regista viene fatto esordire oltre… i 40 anni. L’America non è l’Italia, ma quali reputa – dell’una e dell’altra – siano delle buone abitudini dell’industria e quali quelle cattive?

Sono un grande fan di Ladri di biciclette, ho visto tantissimi film di Fellini, sono grande amante di Sergio Leone e dietro la scrivania del mio ufficio c’è il poster di C’era una volta il West, inoltre, il mio primo lavoro in assoluto è stato con Francis Ford Coppola: sono davvero, davvero appassionato di cinema italiano e credo sia estremamente importante conoscerlo, però conosco meno quello più attuale; in generale, credo sia sempre importante dare alla cinematografia di ogni Paese la possibilità di esprimere la propria voce. Per quanto riguarda il cinema americano, c’è una competizione estrema, fortissima, e potrebbe sembrare che noi, adesso, avendo vinto il Premio più importante, abbiamo creato uno standard a cui gli altri si devono attenere, ma in realtà non è così: siamo stati soltanto molto fortunati e, inoltre, devo ammettere che il cinema americano abbia un po’ perso il suo senso artistico, come ad esempio era quello del cinema italiano del passato; oggi, in America, si basa quasi tutto essenzialmente sul profitto, però, nel momento in cui si scelgono le storie, da produttore puoi considerare i registi con maggior senso artistico: questo succede perché ci sono le regole degli Studios, che spesso fanno perdere la magia del cinema, questo mi lascia basito.

La sua carriera comprende anche l’esperienza nella produzione di videoclip, con grandi nomi da Lenny Kravitz a Bob Dylan ai The Doors: da quel tipo di produzione, cosa ha imparato, che reputa fondamentale come disciplina e modalità per il suo mestiere? E, la frequentazione con star musicali le ha mai sollecitato l’idea di produrre un biopic musicale?

I video musicali sono l’ambito in cui ho cominciato ad apprendere il mestiere, anche perché non ho fatto nessun tipo di studio cinematografico, quindi, è questo l’ambiente dove mi sono formato, tra l’altro sentendomi anche più al sicuro perché lì i budget sono più piccoli, e inoltre ti senti più libero; in questo settore ho avuto poi l’opportunità di conoscere i Daniels. Quello che ho imparato dal mondo dei video musicali è costruire un linguaggio visivo che consenta di esprimere le emozioni non soltanto attraverso il dialogo ma soprattutto attraverso le immagini, cosa che sono riuscito a riportare anche nei film che ho prodotto successivamente. Produrre un semplice film biografico non mi interesserebbe, certo se per biopic musicale valesse un titolo come Amadeus allora certo, potrei considerare questa ipotesi. Io, comunque, ho proprio iniziato come musicista, è stato questo il mio ingresso nel mondo dell’arte, quindi, comunque, la sento un’espressione molto forte.

Era inevitabile citasse i Daniels, di cui è produttore di lunga data: dal suo punto di vista ravvicinatissimo, in cosa sono complici, in cosa sono diversi, e qual è il loro talento?

Ci frequentiamo anche in ambito extra lavorativo, per esempio appena dopo Giffoni andrò in Portogallo e uno di loro due mi raggiungerà. Noi tre pensiamo alla stessa maniera, ma contemporaneamente anche in modo diverso: per esempio, quando leggiamo uno stesso libro, o quando parliamo del cambiamento climatico, affrontiamo questi discorsi insieme portando sempre la conversazione da prospettive diverse, quindi affrontiamo gli stessi problemi ma in modo differente. I Daniels sono come le linee della metro di New York: uno è come un animatore, l’altro – Daniel Kwan – si occupa della composizione, gli piace fare tante prove, fare le cose in maniera più precisa e schematica, mentre Daniel Scheinert è un po’ più per l’improvvisazione.

Il film è stato distribuito in Italia da I Wonder Pictures.

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