CANNES – “Volevo raccontare i cambiamenti del modo di vivere in Cina quando il denaro è diventato il centro di tutto. Nella vita quotidiana di oggi si nota una perdita profonda delle relazioni umane. Le cose, certo, sono cambiate ma non si capisce perché non si possa rispettare quello che c’era prima. Se passa questo, allora tutto può accadere, anche, come ricorda il titolo, che le montagne comincino a spostarsi”. Riprende tutti i motivi dell’opera di Jia Zhang-ke Mountains may depart, quarto suo film in concorso a Cannes (nel 2013 con A Touch of Sin vinse il premio per la sceneggiatura). La divaricazione insanabile tra la vecchia Cina e la modernità vissuta come sradicamento, adorazione del dio denaro e perdita di valori, è il tema che qui viene portato alle estreme conseguenze in un futuro prossimo, il 2025, in cui i figli degli emigrati dovranno re-imparare la propria lingua d’origine, incapaci di comunicare con i propri genitori o addirittura di ricordare dove sono e come si chiamano.
Strutturato in tre parti, ben diverse per andamento e anche per formato, Mountains may depart inizio con un siparietto musical pop nel 1999 nella città natale di Jia, la fredda Fenyang, nella Cina settentrionale, città che per lui rappresenta “la lealtà verso il prossimo che si ritrova in famiglia, tra gli amici e nelle persone che si amano”. Si festeggia il capodanno e Tao (la moglie e musa del regista Zhao Tao, David di Donatello per Io sono Li che si candida fortemente a un premio per l’interpretazione) è corteggiata da due uomini, suoi amici d’infanzia: l’affettuoso e modesto Lianzi, operaio nelle locali miniere di carbone, e il rampante sbruffone Zang, proprietario di una stazione di servizio con l’ambizione di fare i soldi a tutti i costi. In questa tranche narrativa i regista di Still Life, film che gli valse il Leone d’oro a Venezia nel 2006, utilizza materiali video degli anni ’90 e un formato 4:3 e ha evidentemente un occhio nostalgico per quei tempi della giovinezza quando ancora non era detta l’ultima parola sull’avvenire del grande paese.
Ma questa parte, che dura circa tre quarti d’ora, non è che un prologo. Mentre Lianzi, infine respinto da Tao, decide di emigrare in un’altra città mineraria, la ragazza sposa l’arricchito Zang e dà alla luce un bambino a cui viene imposto il nome di Dollar. Nella parte successiva, ambientata nel 2014, girata in formato standard. Lianzi, che nel frattempo si è sposato e ha avuto un figlio, torna a Fenyang: è malato di cancro e ha bisogno di denaro per curarsi. Glielo procura Tao, che ha divorziato e vive sola: Dollar, che ha 7 anni, è a Shanghai con il padre e con la nuova moglie, frequenta la scuola internazionale e si appresta a trasferirsi in Australia. Madre e figlio vivono un ultimo struggente momento insieme, in occasione del funerale del nonno, ma è chiaro che il ragazzino ben presto la dimenticherà né lei fa nulla per trattenerlo, convinta che vada incontro a un destino migliore. Infine la terza parte, in cinemascope, ambientata in un futuro interrazziale e tecnologico (tablet e google translator dominano la scena), certamente la meno riuscita, a tratti un po’ alla Wenders, vede Dollar ormai giovane adulto, estraniato dal padre e attratto da una matura insegnante di cinese, che costituisce il suo unico legame con le radici e il passato.
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