Jesse Owens, l’atleta che beffò Hitler

Lo sport contro il razzismo nella parabola dell'atleta afroamericano che vinse quattro ori alle Olimpiadi di Berlino del '36. La sua vicenda viene raccontata in Race Il colore della vittoria


Lo sport contro il razzismo nella parabola di Jesse Owens, l’atleta afroamericano che vinse quattro ori alle Olimpiadi di Berlino del ’36. Una beffa per la Germania nazista – Hitler e Goebbels rifiutarono di incontrare lo sportivo e lasciarono la tribuna in segno di disprezzo. Un’epopea filmata da Leni Riefensthal in Olympia. La regista aveva preteso totale libertà creativa e, in barba ai richiami alla purezza della razza ariana, dedicò il giusto risalto al nero Owens e immortalò l’espressione di disappunto di Hitler per la sua vittoria nel salto in lungo contro l’atleta di casa Carl “Luz” Long (che peraltro divenne grande amico di Jesse). Tutto questo viene raccontato puntualmente nel film di Stephen Hopkins Race Il colore della vittoria (nel titolo il doppio significato di “race”, corsa ma anche razza) che Eagle Pictures distribuisce dal 31 marzo in circa 200 copie. Nel film, che ha per protagonista la star emergente Stephan James e nel cast anche Jason Sudeikis, Jeremy Irons e William Hurt, viene ricostruita la carriera di James Cleveland “Jesse” Owens, l’arrivo al college appena diciannovenne – tra i pochissimi neri ammessi alla State Ohio University, 100 su 15mila – l’incontro con l’allenatore Larry Snyder che sente grazie a lui di poter riparare ai suoi errori sportivi, la vita privata con la decisione di sposare la ragazza di modeste origini che gli aveva dato un figlio anziché una nuova fiamma borghese, l’amicizia sorprendente con Luz Long, la discriminazione subita anche negli Usa, tanto che al ritorno da Berlino e con quattro medaglie d’oro dovette entrare al ricevimento in suo onore dalla porta di servizio.

Ancora oggi questa storia parla alle nuove generazioni. La Fidal (Federazione italiana di atletica leggera) e il Coni hanno adottato il film che è stato presentato a Roma proprio nel Salone d’Onore del Coni al Foro Italico. Per Fiona May, due volte campionessa mondiale di salto in lungo e testimonial dei valori dell’integrazione nello sport, Owens è “un’icona mondiale, perché ebbe il coraggio di non farsi dettare le regole dagli altri e seguì il suo sogno. In quegli anni è stato l’uomo più veloce del mondo e ha avuto la forza di andare davanti a Hitler, a chi credeva che la razza bianca fosse superiore. Il suo messaggio è ancora valido, per l’integrazione, per i ragazzi che vengono da famiglie non benestanti e non hanno la strada spianata, ma anche per la lezione di fair play e rispetto reciproco come nel rapporto con Luz Long”.

Per il giovane attore canadese Stephan James che abbiamo visto nel ruolo dell’attivista John Lewis in Selma La strada per la libertà, è stato un ruolo impegnativo (con durissimi allenamenti di atletica, sia nella corsa che nel salto) ma anche esaltante. “Owens non è solo un eroe americano o nero, è un eroe mondiale, ha ispirato moltissime persone, non solo come atleta ma anche come persona. Mettermi nei suoi panni, mi ha cambiato la vita. Abbiamo bisogno di raccontare queste icone”. E riflette: “Owens negli anni ’30 si trovava in un’America razzista, solo venti anni prima era stata abolita la schiavitù. Ogni giorno doveva controllarsi, stare attento a come si comportava. Oggi non c’è la stessa situazione, però ancora c’è bisogno di protestare, basta vedere quello che è accaduto agli Oscar. Owens ai suoi tempi ha dimostrato che quello che conta davvero è quello che sei e che sai fare al di là del colore”.

Interviene Federico Buffa, commentatore sportivo che ha doppiato il “collega” tedesco adattando la cronaca delle imprese sportive allo stile enfatico degli anni ’30. Per lui, che considera l’Olimpiade del 1936 come la più grande Olimpiade di tutti i tempi, questa è una storia esemplare. “La vita di Jesse Owens è molto più complicata di quanto si veda nel film, specie dopo il ’36. La famiglia è stata coinvolta nella realizzazione del film e una delle figlie, Marlene Owens, ci teneva molto a mettere in chiaro che Roosevelt non mandò neppure un telegramma di felicitazioni a suo padre… Bisognerà aspettare la fine del secolo perché un presidente degli Stati Uniti parli di lui: solo nel ’76 venne invitato alla Casa Bianca da Gerald Ford, mentre nel ’90 è stato insignito della medaglia d’oro del Congresso postuma come eroe olimpico e americano”.

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21 Marzo 2016

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