Nel 1959 Roberto Rossellini vinse il Leone d’oro a Venezia per Il generale Della Rovere. Il regista tornò a casa e diede il premio ai suoi figli. “Qualcun altro l’avrebbe messo bene in vista nel salotto. Papà no. E così il simbolo di un grande successo si trasformò in giocattolo”. Per Ingrid Rossellini quel gesto rappresenta l’umiltà di suo padre. Figlia del regista di Roma, città aperta e di Ingrid Bergman, professoressa di Letteratura italiana alla New York University, Ingrid è la gemella schiva di Isabella. Eppure, la scorsa primavera, quando la sorella ha presentato al Tribeca Film Festival il cortometraggio My Father is 100 Years Old (leggi CinecittàNews Paper), l’ha criticata pubblicamente.
Frizioni intellettuali a parte, sono insieme al Museum of Modern Art di New York per aprire la retrospettiva Roberto Rossellini, l’evento che fino al 22 dicembre presenterà al pubblico americano oltre 30 titoli di e su Rossellini, conferenze e la mostra “Rossellini on paper”, collezione di poster provenienti in buona parte dalla raccolta privata di Martin Scorsese. Nel 2007 la rassegna, organizzata dal museo americano con la Cinematheque Ontario di Toronto in collaborazione con Cinecittà Holding, si sposterà a Los Angeles e a Londra.
Perché ha criticato pubblicamente My Father is 100 Years Old?
Non condivido l’interpretazione del cinema di papà che emerge nel film di Isabella. Ad esempio, non mi piace come ha usato certe immagini di Roma, città aperta che nel cortometraggio sono proiettate su una grande pancia che rappresenterebbe nostro padre. Forse col passare degli anni sto diventando una moralista, ma per me quei fotogrammi sono sacri. Detto ciò, io e Isabella ci vogliamo un gran bene e insieme presenteremo la retrospettiva.
Qual è il film di suo padre a cui è più legata?
Paisà perché ha rotto tutte le convenzioni del cinema.
E’ mai stata su un set di suo padre?
Succedeva d’estate ed erano set televisivi. Ricordo le sue urla terribili. Era piuttosto autoritario. Immagino che fosse necessario viste le condizioni in cui lavorava: basso budget e tempi strettissimi.
Come lo descriverebbe?
Era un uomo umile e ottimista. Per papà quello del regista era un mestiere come un altro. ‘Il mio vero mestiere è fare l’essere umano’ diceva. Detestava ogni forma di vanità e tutte quelle cose che di solito si accompagnano al successo. Trovava irritante essere chiamato “maestro”. Era troppo affezionato alla vita per pensare a se stesso. Era un uomo curioso, un avido lettore e amava viaggiare.
Di quale dei suoi film parlò di più con voi?
Parlava con tenerezza di Francesco, giullare di Dio. Anche se si dichiarava agnostico, la sua moralità si basava sullo spirito francescano. Credeva nella purezza dell’essere umano e nel progresso. Forse perché dopo la guerra la percezione della differenza tra il bene e il male era più netta, e pensava che una volta sconfitto il male costruire una civiltà migliore fosse possibile. Chissà oggi che cosa direbbe.
Il New York Times ha scritto che la retrospettiva al MoMA è “un evento essenziale”.
E’ un evento che ci rende felici però mio padre è morto povero e isolato. Nonostante abbia fatto dei film bellissimi, non ha mai smesso di lottare per affermarsi. Avrebbe potuto ripetersi e fare quello che tutti si aspettavano da lui invece tentava sempre nuove strade. Alla fine era talmente esausto che preferì lasciare il cinema. Però era anche un uomo che sapeva divertirsi. In Roma, città aperta Don Pietro dice: “Non è difficile morire, è difficile vivere bene”. Ecco, questo è l’insegnamento che mio padre ha seguito fino in fondo.
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