In trappola con M. Night Shyamalan: i suoi cinque film migliori in attesa di ‘Trap’

Il nuovo thriller di uno dei registi contemporanei più discussi sta per arrivare in sala, ripercorriamo la carriera di Shyamalan attraverso i suoi titoli più significativi


Di Steven Spielberg ne esiste solo uno. Eppure sulla copertina di Newsweek del 5 agosto 2002 sotto la foto di un giovane indiano con lo sguardo penetrante che emerge da alti filari di piante di granturco si legge: “The next Spielberg”.

Il prossimo Spielberg. Lui è M. Night Shyamalan e a soli 29 anni sembrava davvero destinato all’Olimpo cinematografico.

Segni di un successo annunciato

Con il suo secondo film – il fenomeno horror di fine anni ’90 Il sesto senso – aveva trionfato ai botteghini di tutto il mondo, facendo di questa storia interpretata da un convincente Bruce Willis fuori dai panni macho a cui ci aveva abituati, uno dei più grandi successi commerciali di tutti i tempi.

Il suo film Signs usciva proprio in quel mese e la posta in gioco era enorme. Il seguito de Il sesto sensoUnbreakable (peraltro bellissimo) –  non era riuscito a capitalizzare il glorioso cammino del suo predecessore, pur ottenendo un buon risultato e ricevendo acclamazione dalla critica.

Signs non deluse le aspettative: conquistò tutti piazzandosi al 7° posto al box office americano e incassando più di 400 milioni di dollari con un budget di 72 milioni. Un successo che mai avrebbe fatto pronosticare i problemi che sarebbero arrivati con i film successivi.

E venne il giorno del fallimento

The Village (un’opera sicuramente sottovalutata) e E venne il giorno diedero la stura ad una striscia di insuccessi che ha affossato il marchio Shyamalan, allontanandolo per sempre la scia dell’inarrivabile Spielberg.

Non hanno aiutato, per dirla ironicamente, i disastri commerciali di L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth.

Il ritorno di Shyamalan

Quasi un decennio dopo, Shyamalan ha apparentemente trovato il suo ritmo, portando piccoli thriller come The Visit – costato solo 5 milioni di dollari ne ha incassato 65 negli Stati Uniti, ovvero 5 milioni di dollari in più rispetto ai 130 milioni di dollari di budget di After Earth e Split nei cinema convincendo di nuovo il pubblico a seguirlo, anche se la traiettoria della sua apparente parabola discendente  non è stata mai del tutto cancellata.

Sì, probabilmente non sarà mai all’altezza di quella copertina di Newsweek ma  M. Night Shyamalan non ha mai rinunciato alla sua cifra autoriale, cercando di iniettare anima e profondità tematica nei suoi (tentati) blockbuster. Al suo meglio, è riuscito a dire qualcosa di significativo sulla mortalità, sull’infanzia e su ciò che accade nell’oscurità, spingendosi oltre i confini delle storie di fantasmi, dei film di supereroi e dei thriller fantascientifici. Senza dimenticare la sua capacità di allestire sempre una premessa narrativa originale e attraente per poi lasciarci a bocca aperta con un colpo di scena micidiale.

Naturalmente, i suoi “marchi di fabbrica narrativi” sono diventati presto una stampella, portando a ridurre l’effetto “wow” delle sue storie e alla sensazione che Shyamalan si stesse mettendo in un angolo narrativo, tanto che spesso si sente dire che probabilmente sia destinato a essere ricordato come un regista che ha raggiunto l’apice con i suoi primi successi.  Un’eredità con cui ha lottato negli ultimi anni – a volte in modo affascinante – e grazie a Split del 2017 e Glass del 2019 ha ritrovato un po’ del suo vecchio fascino commerciale.

Trap e i magnifici cinque

Quindi, dove si colloca il suo ultimo film in uscita in questi giorni in tutto il Mondo?

Il 7 agosto arriva, infatti, anche sugli schermi italiani Trap con Josh Hartnett negli inediti panni di un serial killer che si trova in trappola ad un mega concerto. Il problema è che si trova lì con l’ignara figlia che ha accompagnato per assistere alle performance della cantante Lady Raven e dovrà fare i conti con la verità e con la necessità di salvarsi.

In attesa del responso del botteghino a questa nuova fatica del regista indiano che compie 54 anni il 6 agosto vediamo quali sono i suoi film più acclamati dalla critica in ordine crescente di preferenza.

BUSSANO ALLA PORTA (2023)

Con una premessa biblica e un’aria di terrore che innerva ogni inquadratura, questo adattamento del romanzo di Paul G. Tremblay è sicuramente tra le opere quintessenziali di M. Night Shyamalan:  dall’ambientazione sospesa, alla narrazione misteriosa, alla regia sperimentale, è tanto avvincente quanto radicato nelle sue convinzioni. molto ben recitato e con una dose potente di tensione, sembra ispirarsi alle ansie da COVID ma anche all’eterno tema del genitore che si preoccupa di come tenere al sicuro i propri figli in un mondo spaventoso.

SPLIT (2017)

L’accoppiamento di Shyamalan con la mitica casa di produzione Blumhouse è stato un colpo magistrale. E necessario.

Ciò di cui Shyamalan ha avuto bisogno più di ogni altra cosa nell’ultimo decennio è stato un punto di vista forte che non fosse solo il suo. Grazie a un’interpretazione straordinariamente “libera” di James McAvoy e una protagonista femminile simpatica e forte come Anya Taylor-Joy  e nonostante alcuni barocchismi – una storia di fondo sovraccarica, dialoghi spesso fuori tono – tutto sembra più snello, più concentrato. non è perfetto come Unbreakable, ma ti abbaglia e ti terrorizza abbastanza da farti pensare alle numerose implicazioni emotive dei suoi tre personaggi principali e rappresenta il suo miglior film nei 15 anni che lo separano da Signs.

SIGNS (2002)

Signs è tanto coinvolgente quanto disordinato. Qui il regista si prende il suo tempo, prolungando i silenzi più squisiti, i piccoli tremolanti presagi di terrore. È la vicenda di una famiglia della Pennsylvania, guidata dall’ex pastore di Mel Gibson, Graham, che scopre che potrebbero esserci degli extraterrestri in mezzo a loro. Signs vuole essere un film sull’invasione aliena con un tono luttuoso post 11 settembre – e allo stesso tempo anche uno sguardo su un uomo che ha voltato le spalle a Dio ma che ritrova la fede. Nonostante questo carico di “temi” Shyamalan qui mostra come abbia raffinato le sue forme per distillare l’essenza stessa del suo modo di intendere il cinema: spaventoso, emozionante e vecchio stile, punteggiato di terrore e suspense psicologica.

UNBREAKABLE (2000)

Per il seguito del suo Sesto Senso, Shyamalan ha voluto fare un film “profetico”, che anticipava l’invasione e la dominazione Marvel dell’immaginario collettivo (il primo Iron Man sarebbe arrivato solo nel 2008). Racconta di un ragazzo comune di nome David (Bruce Willis) che sopravvive miracolosamente a un incidente ferroviario senza un graffio e lentamente si rende conto di essere un supereroe. Viene messo in coppia con Elijah (Samuel L. Jackson), un uomo dalle ossa fragili che ha trascorso la sua vita malaticcia ossessionato dai fumetti – e in paziente attesa di una degna nemesi. Che si sia fan o meno dei fumetti, Unbreakable è il film più vicino a ciò che sarebbe la realtà se i supereroi esistessero davvero. È difficile ora spiegare quanto quest’opera affascinante e straordinaria sia stato una rivelazione all’epoca: si trattava di un film che prendeva sul serio i cine-comics, ma che riconosceva anche il pericolo insito nel dedicare la propria vita ai crociati col mantello.

IL SESTO SENSO (1999)

Il ragazzo vede persone morte e quando lo dice allo psicologo, non capisce che non si tratta di una confessione, ma di un avvertimento. Il film con il colpo di scena che ha sconvolto il mondo, Il sesto senso può essere apprezzato per numerosi motivi, ma una volta che si conosce la sua grande rivelazione, si può anche apprezzare come una storia incredibilmente commovente di autoinganno. Non a caso è uno dei rari film horror ad aver ricevuto una nomination all’Oscar come miglior lungometraggio e rimane il miglior risultato personale del regista.

Il Sesto Senso non è un film particolarmente “spaventoso” nel senso tradizionale del termine – ci sono scene “jumpscare”, ma si tratta più di atmosfera che di terrore – ed è qui che Shyamalan stabilisce la sua maestria nell’atmosfera luttuosa e nelle interpretazioni solenni. Toni Collette è bravissima nel ruolo della madre che non può aiutare il figlio Cole – un Haley Joel Osment che fornisce una delle più intense performance per un attore bambino nella storia del cinema. Ma ciò che è particolarmente forte nel film è il modo in cui Malcolm (Bruce Willis in stato di grazia)  diventa una metafora di tutti gli stacanovisti che non hanno tempo per gli altri. Prima di perdere la vita, avrà già perso tutto, compresa sua moglie (Olivia Williams), ma non se ne renderà mai conto. Pietra miliare del cinema sulla frontiera tra XX e XXI secolo.

autore
04 Agosto 2024

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