‘Il segno del comando’, quando il mistery arrivò al grande pubblico

Bastano solo 5 puntate per fare de Il Segno Del Comando un cult che segna la storia della Tv italiana. Lo sceneggiato è uscito su Rai 1 nel 1971 e aveva come protagonisti Ugo Pagliai e Carla Gravina


Bastano solo 5 puntate per fare dello sceneggiato Il Segno Del Comando un cult che segna la storia della Tv italiana. Ogni domenica sera, a cavallo tra il maggio e il giugno del 1971, milioni e milioni di italiani restano ipnotizzati dalle vicende professor Edward Lancelot Foster interpretato da Ugo Pagliai e dalla affascinante Lucia, nei cui panni si cala un’intensissima Carla Gravina.

Sul sito di RaiPlay si legge che quello diretto da Daniele D’Anza è considerato “il più importante sceneggiato della storia” del primo canale. Sicuramente è la punta più alta di un genere, il mistery o il giallo, che dopo non sarà più lo stesso.

Nel segno del comando si fissano temi inconsueti per le produzioni televisive dell’epoca e che verranno poi riproposti in seguito fino a diventare dei cliché: la reincarnazione, le sedute spiritiche, la presenza di fantasmi, le profezie e l’epilogo che scioglie i nodi intrecciati puntata dopo puntata. Il fauno di marmo, Ho incontrato un’ombra, Ritratto di donna velata, La dama dei veleni: sono esempi di sceneggiati di successo che faranno grande uso di questi tropi narrativi per le loro trame.

La vicenda è un giallo a tinte dark di forte impatto emotivo, ambientata in una Roma notturna ed insolita, difficile da dimenticare. Il protagonista è un giovane e stimato docente dell’Università di Cambridge, il professor Edward Lancelot Forster, chiamato nella capitale italiana da un funzionario dell’ambasciata britannica, George Powell (interpretato da Massimo Girotti) per tenere una conferenza sullo scrittore Lord Byron ed in particolare sul suo soggiorno romano del 1817.

Forster sostiene che il grande poeta inglese, nel descrivere nel suo diario romano una piccola piazza, abbia attinto a piene mani alla sua fantasia, ovvero che il luogo non esista nella realtà e sia semplicemente un parto dell’immaginazione. Il pittore Marco Tagliaferri gli fa recapitare una lettera nella quale confuta la sua tesi mostrandogli la foto della Piazza stessa. Una ghiotta occasione di scoperta per il professore di Cambridge, inizialmente riluttante ad accettare l’invito dell’ambasciata.

E qui iniziano ad arrivare una serie di eventi apparentemente inspiegabili in cui si imbatte Forster: incontra la misteriosa ed avvenente modella Lucia che gli dà appuntamento per la sera stessa nella caratteristica “Locanda dell’Angelo” e poco prima di entrare, si imbatte in una zingara che, chiedendogli la carità, “sente” qualcosa ed avverte Edward del forte pericolo che corre con Lucia. Il professore, che rappresenta il punto di vista del pubblico generalista e, dunque, il buon senso, liquida queste parole come pura superstizione.

Ma gli elementi inquietanti non sono che all’inizio. La vicenda è costellata di tracce proprie del fantasy e del gotico: foto e microfilm delle pagine del diario di Byron, uno strano medaglione raffigurante un gufo, lo stesso che portava Lucia al collo. E, soprattutto, la scoperta che il pittore che sta cercando è morto un secolo prima. Parte l’indagine dal carattere esoterico, intorbidata dalle oscure presenze che animano le strade di Roma fatta di assassini spietati e sette segrete, dalle maledizioni che pendono sul capo dei suoi protagonisti (“chi vede il fantasma della donna perirà entro un mese”), opere musicali scomparse e dannate, oggetti magici e bizzarre coincidenze collegate secondo un inestricabile disegno del destino.

Sullo sfondo, una Roma magica e suggestiva, mostrata in alcuni dei suoi lati caratteristici  ma declinata in inconsueti toni gotici. Trinità dei Monti, Via Margutta, i vicoli antichi e polverosi, Trastevere, l’isola Tiberina, il Gianicolo si svelano poco a poco sotto spoglie diverse rispetto all’immagine da cartolina con cui si rivelano di solito.

Il segno del comando ebbe un successo straordinario grazie a un cast azzeccato tra cui spicca uno strepitoso Pagliai e ad una sceneggiatura innervata da un’atmosfera intrigante, costruita con grande mestiere a partire dal romanzo di Giuseppe D’Agata e l’adattamento di Flaminio Bollini, Dante Guardamagna e Lucio Mandarà.

Di grande impatto fu anche la canzone Cento Campane, interpretata da Lando Fiorini, uno stornello che giocando sull’assonanza “din-don-dì de no” rimane immediatamente impresso nella mente (“Din don, din don, amore / cento campane stanno a dì de no / ma tu, ma tu amore mio, / se m’hai lasciato ancora nun lo dì.”).

Un giallo d’altri tempi? Certamente, basti pensare agli attori che si danno sempre del “voi”, al linguaggio depurato di ogni accenno di “volgarità”, ai canoni estetici estremamente diversi da quelli attuali e a scelte narrative condizionate dai mezzi tecnici limitati dell’epoca. Confrontarsi oggi con Il segno del comando può sicuramente risultare ostico se si estrapola dalle condizioni sociali e culturali dell’Italia nei primi anni Settanta in cui fu girato. Ma è indubbio che mostra un coraggio straordinario nel proporre al grande pubblico una storia gotica, mistery così declinata sul fantastico.

I soggetti degli sceneggiati fino a quell’inizio degli anni settanta evitavano accuratamente vicende complesse e destinate ad una nicchia: il pubblico da raggiungere era enorme e l’idea generale era che, per lo spettatore medio, l’idea del “fantastico” sarebbe stata inaccettabile senza poggiarla su generi solidi, ben conosciuti e rassicuranti, come poteva essere appunto il giallo.

Il Segno del comando fu rivoluzionario e il pubblico dimostrò di essere pronto a recepire ed amare nuove forme di intrattenimento. Quindici milioni di italiani aspettavano il fine settimana per immergersi nella storia del professor Forster e ne discutevano durante la settimana. Un trionfo assoluto, il segno di tempi che cambiavano.

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30 Luglio 2023

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