È sempre difficile stilare classifiche. Ed è una vera impresa indicare i migliori film della storia del cinema. Troppe variabili e troppo forte il condizionamento dei gusti personali. Eppure ci sono opere che sono indiscusse pietre miliari di quella straordinaria traiettoria che segna il cammino dell’uomo come narratore di storie per il grande schermo e che non smettono di incantare milioni di persone in tutto il mondo.
Tra queste c’è sicuramente un film che usciva negli Stati Uniti nel dicembre di 45 anni fa. Il titolo è The Deer Hunter (Il cacciatore del cervo) che sarebbe arrivato da noi semplicemente come Il cacciatore.
E tornerà da noi nel 2024. Grazie alla casa di distribuzione Lucky Red, infatti, Il cacciatore uscirà al cinema in Italia come evento nei giorni 22, 23 e 24 gennaio in una nuova versione restaurata in 4K.
Alla regia de Il cacciatore c’è il turbolento Micheal Cimino (scomparso nel 2016) che prima di allora aveva all’attivo un solo film dietro alla macchina da presa: Una calibro 20 per lo specialista con Clint Eastwood e Jeff Bridges. Un biglietto da visita niente male e buoni incassi, ma niente a confronto rispetto alla sua opera seconda. Una produzione di tale successo di critica e di pubblico che avrebbe oscurato tutti i suoi, pochi, lavori futuri.
Dopo quattro anni da quell’esordio arriva, infatti, la vera consacrazione. Il film che avrebbe inciso il suo nome nel firmamento hollywoodiano e regalato al Mondo una pellicola di guerra (ma antimilitarista) da ricordare per sempre, tanto che nel 1996 Il cacciatore è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Il film dura tre ore ed è come ripartito in tre movimenti principali. È una progressione entusiasmante, amara e drammatica che porta lo spettatore da un matrimonio a un funerale, attraverso la storia di un gruppo di amici.
È il resoconto spietato di come una guerra (nello specifico quella del Vietnam) possa entrare nelle vite degli uomini che la combattono e rivoluzionare tutto, danneggiandole irrimediabilmente.
È uno dei film più emotivamente sconvolgenti mai realizzati, con un inizio da pelle d’oca. Inizia con il resoconto realistico e poetico allo stesso tempo dell’ultimo giorno della loro esistenza prima della partenza per il Vietnam.
Nella seconda parte è quella zona remota dell’Asia che diventa sinonimo di guerra brutale a occupare lo schermo, all’improvviso, con un muro di rumore. Il secondo movimento del film è incentrato sulle esperienze vissute da tre amici: un terzetto di attori fuori classe all’epoca trentenni: Robert De Niro, John Savage e Christopher Walken.
Al centro del film c’è una delle sequenze più terrificanti della storia del cinema: i tre vengono fatti prigionieri e costretti a giocare alla roulette russa mentre i loro carcerieri scommettono su chi si farà, o non si farà, saltare il cervello.
Quel gioco spietato e crudele diventa un’icona della crudeltà umana e simbolo perfetto intorno al quale si organizza tutto il senso del film. È così potente che nel contesto di questa storia, rende superflua qualsiasi dichiarazione ideologica sulla guerra.
L’ultima parte del film è giocato sul senso del “ritorno”. Ma ormai l’equilibrio dei tre personaggi è rotto e compromesso per sempre. Il personaggio di De Niro è l’unico che sembra andare avanti. Ma quando finalmente è di nuovo a casa è circondato da un silenzio e un’angoscia che non riusciamo mai a penetrare. È vivo, vero, ma è contaminato di morte. E quando torna a Saigon per recuperare uno dei suoi amici si rende conto che ormai tutto è perduto davvero.
Il cacciatore è un film che parla su più livelli. E tocca talmente tanti temi che si può definire un’opera totale, consacrata da 5 premi Oscar (su 9 candidature ricevute), tra i quali quelli per il miglior film e la miglior regia. C’è dentro il legame della fratellanza virile, del patriottismo insensato, degli effetti disumanizzanti della guerra, della “maggioranza silenziosa” di Nixon, dell’assordante rumore della solitudine, dell’impossibilità del vero amore. E così via. Ma più di ogni altra cosa, è una macchina narrativa efficace e straziante che evoca, come pochissimi altri film, l’agonia del periodo del Vietnam vissuto dagli americani.
Tra le curiosità che una produzione mastodontica come questa necessariamente porta con sé, molte hanno a che fare con il livello di realismo che Cimino impose sul set.
Convinse, per esempio, Christopher Walken a sputare in faccia a Robert De Niro. Quando Walken lo fece davvero, l’altro rimase completamente scioccato, come dimostra la sua reazione nel film. In effetti, De Niro era così furioso per l’accaduto che ha quasi abbandonato il set.
Anche gli schiaffi nelle sequenze della roulette russa erano autentici al cento per cento. Gli attori si agitavano molto a causa dei continui schiaffi che, naturalmente, aumentavano il realismo delle scene.
La donna a cui è stato affidato il compito di fare il casting delle comparse in Thailandia ha avuto molte difficoltà a trovare un attore locale per interpretare l’individuo dall’aspetto malvagio che gestisce il gioco della roulette. Il primo attore assunto si rivelò incapace di dare uno schiaffo a Robert De Niro. Fortunatamente, il regista conosceva un thailandese del posto con una particolare antipatia per gli americani e lo scritturò per questo. De Niro propose che Christopher Walken fosse schiaffeggiato davvero da una delle guardie senza alcun preavviso. La reazione sul volto di Walken è quanto meno credibile!
John Cazale è stato un attore incredibile. Nell’arco di soli sette anni recitò in cinque film che furono tutti candidati al premio Oscar come miglior film. tutti lo ricordano come Fredo Corleone, il fratello debole e malinconico di Al Pacino ne Il padrino.
Ha un ruolo importante anche ne Il cacciatore, nonostante fosse molto debole a causa del cancro ai polmoni che lo stava divorando. Michael Cimino sapeva fin dall’inizio che Cazale stava morendo, ma lo studio non lo sapeva. Quando lo hanno scoperto, volevano sostituire Cazale. Ma Meryl Streep, all’epoca sua moglie e la protagonista femminile de Il cacciatore, venne a conoscenza delle loro intenzioni e minacciò di licenziarsi se lo avessero fatto. De Niro fece lo stesso e il regista Cimino propose di girare tutte le sue scene per prime. Cazale morì nel marzo del 1978, poco dopo aver terminato le riprese. E non vide mai il film finito.
La scena in cui Steven urla “Michael, ci sono i topi qui, Michael”, mentre è bloccato nel fiume non doveva esserci nel film. Fu John Savage a urlare verso Michael Cimino a causa della sua paura dei topi, che infestavano la zona del fiume. Urlava al regista di tirarlo fuori dall’acqua a causa dei ratti. Cimino inserì la scena nel film.
Sempre in tema di autenticità c’è una curiosità sconvolgente. Una volta rientrato dal Vietnam, Mike (Robert De Niro) assiste a una scena in cui Stan (Cazale) finge di minacciare un amico con una pistola e così gli propone una roulette per fargli capire la gravità del suo gesto.
Ebbene, Robert De propose che ci fosse un vero proiettile all’interno della pistola, e Cazale accettò, a patto di poter controllare prima di ogni ciak che non ci fosse il rischio di morire per davvero.
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