Un bottone di madreperla. E’ questa la traccia che insegue La memoria dell’acqua, il bellissimo documentario di Patricio Guzmán, Orso d’argento alla Berlinale 2015 per la migliore sceneggiatura. Un premio per la sceneggiatura a un documentario? Sì, avete capito bene, perché il 75enne autore cileno “riscrive” la storia del suo paese attraverso un viaggio geografico e antropologico, politico e poetico in cui la parola e le immagini sono un tutt’uno… Ed è sua la voce narrante proprio per sottolineare la forte connotazione personale di questo viaggio.
Ma torniamo al bottone di madreperla, il “boton de nacar” del titolo originale. Lo troviamo incrostato nella ruggine di una rotaia che il mare in quarant’anni ha trasformato in qualcosa d’altro, formazione rocciosa e tana di piccoli molluschi. E’ una traccia dei desaparecidos di Villa Grimaldi a Santiago, il grande centro cileno di detenzione e tortura sotto la dittatura di Pinochet. I corpi dei torturati, uccisi con una iniezione di penthotal, venivano impacchettati con un pezzo di rotaia legato al petto, e poi gettati nell’oceano da un elicottero o da un aereo. Il mare, che è diventato la loro tomba segreta perché nessuno doveva sapere e i parenti delle vittime non avevano diritto a piangere e seppellire un cadavere, è lo stesso mare alla base della cultura dei Selknams, la popolazione nativa sudamericana trucidata dai colonizzatori. Un popolo che viveva sull’acqua a temperature polari: 8.000 abitanti nel XVIII secolo, venduti dai cacciatori di indigeni per una sterlina, una ventina appena ai giorni nostri.
La memoria ostinata dell’acqua fa riaffiorare questi pezzi drammatici della storia del Cile, mentre la macchina da presa di Guzmán accarezza la bellezza della Patagonia con i suoi fiordi, le sue isole, i suoi ghiacci. La carta geografica di questo martoriato paese viene ridisegnata dall’artista Emma Malig, amica del regista, che srotola una mappa lunga 15 metri di colore ocra. Gli ultimi discendenti degli indigeni parlano la loro lingua misteriosa in cui non esiste la parola “Dio”, mentre il poeta Raul Zurita ricorda l’efferatezza dei militari di Pinochet. “Credo che il colpo di stato di Pinochet sia stato per me come se mi avessero incendiato la casa: come se tutti i miei libri e gli oggetti che amo, le fotografie dei miei amici e della mia famiglia fossero stati improvvisamente dati alle fiamme. E questo fuoco continua a bruciare, sarà sempre con me, parte della mia identità”, spiega Patricio Guzmán, che ha iniziato la sua carriera prima del golpe del 1973, durante il quale è stato imprigionato per due settimane nello stadio di Santiago, per poi essere liberato per estraneità alla politica (da allora ha vissuto a Cuba e in Francia), ma segnato per sempre: “E’ stata un’esperienza terribilmente umiliante, ci hanno obbligati a spogliarci, e ricordo i cadaveri delle persone per terra e l’isolamento, l’impossibilità di dire qualcosa alle nostre famiglie, che non sapevano cosa stesse succedendo”.
Tra i suoi film ci sono opere storico-politiche, come Salvador Allende del 2004 e Il caso Pinochet del 2001, e opere che alla politica rimandano attraverso una forte presa di posizione estetica come Nostalgia della luce del 2010, selezionato da Sight & Sound tra i venti migliori documentari del secolo. Nostalgia della luce parte dal deserto, questo nuovo film, scelto anche dal Sncci come Film della Critica, premiato al Biografilm Festival, parte dall’acqua. “L’acqua è un elemento che si trova ovunque, esiste sul pianeta Terra come in tutto il sistema solare e oltre: ora sappiamo che si trova anche in altre galassie. Per questo motivo credo che siamo circondati da altre forme di vita, che a breve cominceremo a scoprire. Ma poi c’è anche l’aspetto opposto, ciò che gli esseri umani fanno con l’acqua: stiamo prosciugando i laghi e le fonti, contaminando i mari, e non solo con prodotti chimici ma anche con i cadaveri, come viene mostrato nel film”, dice ancora Guzmán.
Che in Cile non trova spazio in televisione. “Dei quattordici film che ho fatto solo uno, Nostalgia della luce, è passato in tv, con le bobine invertite ed all’una di notte. È un fatto che in Cile non abbiamo libertà di stampa, libertà di proiettare immagini”.
La memoria dell’acqua sarà in sala dal 28 aprile con I Wonder Pictures.
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