Con Io Capitano di Matteo Garrone l’Italia ottiene la sua trentesima nomination nella sezione Miglior film internazionale degli Academy Awards. È dal 1948 che il bel paese è presenza gradita agli ambitissimi premi Oscar, una storia d’amore che ebbe il suo picco tra anni ’60 e ’70 e che vede ancora oggi l’Italia al primo posto per numero di statuette vinte (davanti a Francia e Giappone). Il premio Oscar al miglior film straniero nasce, in un certo senso, proprio per noi. Per premiare la gloriosa stagione del cinema italiano, in piena espansione nel secondo dopoguerra. Il primo fu De Sica, premiato per Sciuscià con l’Oscar Speciale, non una vera e propria nomination ma un riconoscimento assegnato direttamente da una giuria. L’evento si ripeterà altre due volte, nel 1950 con Ladri di biciclette, sempre De Sica, e nell’anno successivo, quando l’Italia viene premiata per la coproduzione francese Le mura di Malapaga di René Clément. Ed è qui, qualche anno dopo, con l’introduzione della cinquina e dunque delle nomination, che entra in gioco Fellini. Nel 1957 è il turno de La Strada, mentre l’anno successivo tocca a Le notti di Cabiria, entrambi vincitori su film ancora oggi acclamati dai cinefili di tutto il mondo, come Il quartiere dei lillà di René Clair e L’arpa birmana di Kon Ichikawa. Fellini diventa un prediletto per i membri dell’Academy e Hollywood tutta: entrerà in nomination ben 12 volte (calcolando anche le candidature per altre sezioni, come miglior regia) e vincendo in totale quattro statuette. Nel 1964 l’ovazione statunitense è tutta per 8 1/2, tripudio di quell’idea felliniana del cinema che oltreoceano si farà persino aggettivo. La “felliniesque” avrà la meglio sulla sezione miglior film straniero anche 11 anni dopo grazie ai ricordi del giovane Fellini, raccontati in Amarcord.
Nel primo decennio del premio, nato a fine anni ’50, l’Italia è in nomination otto volte. Fellini e De Sica vincono uno dopo l’altro, nel 1964 e nel 1965, ma nella categoria appaiono per la prima volta anche Mario Monicelli, Gillo Pontecorvo e Nanni Loy. Il regista di Amici Miei verrà candidato in tutta la sua carriera sei volte, due per la miglior sceneggiatura e quattro per il miglior film straniero, l’ultima volta nel 1979 in compagnia dei colleghi Dino Risi e Ettore Scola per il film diretto a sei mani I nuovi mostri. Pontecorvo invece tornerà sul red carpet nel 1967, candidato per il leggendario La battaglia di Algeri, sorpassato solo da Un uomo una donna di Claude Lelouch. La coppia di vincitori del decennio successivo non cambia. A dominare sono ancora De Sica (Il giarino dei Finzi Contini) e Fellini (Amarcord), ma ad inaugurare gli anni ’70 è Elio Petri, che vincerà per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, premio ritirato dall’attrice Leslie Caron. “Petri e Volontè non potevano viaggiare in America perché iscritti al partito comunista – rivelerà poi la storica produttrice del film Marina Cicogna – e io odio l’aereo”. La prima donna italiana con l’Oscar, come si descriveva lei stessa, in una recente intervista prima della morte avvenuta l’anno scorso citò proprio Garrone tra i registi su cui scommetterebbe oggi come produttrice.
Col finire degli anni ’70 inizia un decennio di magra per le vittorie italiane nella sezione film stranieri. Gli anni ’80 sono di Rosi e Scola, Tre Fratelli nel 1982 e La famiglia nel 1988. Per le altre categorie vince anche Bertolucci, premiato per la regia de L’ultimo imperatore nel 1987. Appena due anni dopo però è il momento di Nuovo Cinema Paradiso, che inaugura gli anni ’90 portando al trionfo Giuseppe Tornatore. Le celebrazioni non hanno tempo di terminare ed ecco che nel 1992 il giovane Gabriele Salvatores vince su Lanterne Rosse con il suo Mediterraneo. Una cosa che racconta spesso il regista è un certo imbarazzo per una vittoria che, ancora oggi, reputa ingiusta. “Per me il film di Zhang Yimou meritava di più” ripete spesso. Di recente ha inoltre aggiunto il racconto di un inedito siparietto avvenuto dietro le quinte, nei bagni dell’Academy. “Quando sono molto agitato devo andare in bagno e avevo la statuetta con me. Avevo appena vinto e me l’avevano data senza scatola. Sono andato alla toilette e ci ho trovato Zhang Yimou che piangeva appoggiato a un muro: per lui era molto importante quel premio, anche dal punto di vista politico, visto che ai tempi la Cina era ancora chiusa. Dimenticandomi di avere l’Oscar in mano mi sono avvicinato per tirarlo su e gli ho detto: ‘Guardi, il suo film è molto più bello del mio’, lui mi ha detto qualcosa che non ho capito ed è finita così”.
Sophia Loren che urla “Roberto!” è la chiusa su un decennio fortunato per l’Italia, tornata a vincere ben tre volte il premio al miglior film straniero. Un momento leggendario, destinato a rimanere impresso nella storia di questo premio. Roberto Benigni sente il suo nome, il titolo, La vita è bella, e si lancia sui posti a sedere di fronte: in piedi, sorretto da uno Steven Spielberg preso alla sprovvista, l’attore e regista italiano arriva sul palco in preda a un’emozione incontenibile. Con Benigni, all’Academy, arriva anche Dante, citato al pubblico di Hollywood per dedicare il premio all’attrice e compagna Nicoletta Braschi.
Da allora, fino a oggi, con l’annuncio della nomination di Matteo Garrone nella cinquina della sezione miglior film straniero, sono state quattro le opere italiane a concorrere per la statuetta degli Oscar più aperta al mondo. Nel 2006 La bestia nel cuore di Cristina Comencini corre al fianco di Christian Carion e Gavin Hood; quest’ultimo, regista sudafricano, vincerà poi con Il suo nome e Tsotsi. Un preludio del nuovo millennio, che vedrà da lì a poco il trionfo di Paolo Sorrentino, vincitore nel 2014 con La grande bellezza – nella categoria miglior film straniero quell’anno anche Il sospetto di Thomas Vinterberg – e tornato a Los Angeles otto anni dopo per È Stata la mano di Dio, ultimo lungometraggio da lui diretto.
Con Garrone l’Italia torna della partita e porta a quota due i film in nomination negli anni ’20 del nuovo secolo. In corsa con lui Wim Wenders con il film in giapponese Perfect Days, largamente apprezzato anche in Italia, La società della neve di Juan Antonio Garcia Bayona, The teachers’ loung di Ilker Catak e La zona d’interesse di Jonathan Glazer. Garrone ha già ottenuto il premio alla miglior regia alla Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato mostrato in anteprima ricevendo oltre dieci minuti di applausi da un pubblico commosso e coinvolto dall’urgenza e dalla profondità del racconto proposto, l’odissea di due giovani migranti in cerca di una vita migliore.
“Ho allestito la sartoria in un ex nightclub della Medina di Dakar, sul mare, vicino ai pescatori, alle pecore e ai negozietti di lamiera illuminati al neon che si vedono all’inizio del film”. L’intervista.
Seydou Sarr e Moustapha Fall, i due giovani attori protagonisti di Io Capitano, incontrano i giornalisti in streaming tre giorni prima della Notte degli Oscar. "Siamo tranquilli, ma preghiamo Allah"
“La prima volta che Seydou ha ascoltato una bozza di canzone che gli avevo mandato con la sua voce si è commosso, non credeva nemmeno di essere lui a cantare!” L'intervista.
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