I film del ventennio: più melodrammi che propaganda

Fino al 12 novembre alla Casa del Cinema la rassegna Il Fascismo: un ventennio di immagini per iniziativa dell’AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico)


Mussolini, come dichiarò pubblicamente già nel 1922, ovvero immediatamente dopo la presa del potere, era convinto che la cinematografia fosse l’arma più forte. Così a partire dal consolidamento del regime, il fascismo dedicò grandi attenzioni al cinema. E’ del 1931 la prima legge di sostegno all’industria del settore, con interventi di natura economica che prevedevano un contributo governativo correlato agli incassi del film e agevolazioni su spese e mutui per la produzione. A questo primo provvedimento, seguirono nel 1934 la creazione della Direzione Generale per la Cinematografia e l’anno successivo del Centro Sperimentale di Cinematografia. Infine il 5 maggio del 1937, il Duce inaugurò Cinecittà.

Durante il ventennio fascista si produssero, fra muti (circa 500) e sonori, oltre 1200 film. Nelle intenzioni del regime avrebbero dovuto promuovere il consenso nei confronti del governo e della sua politica, esaltare le imprese belliche e le ambizioni imperialiste del duce, esportare all’estero un’immagine vincente dell’Italia. Tuttavia, esaminando il complesso della produzione fascista, in questi giorni oggetto della manifestazione Il Fascismo: un ventennio di immagini in programma a Roma per iniziativa dell’AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) fino al 12 novembre, con proiezioni e incontri di studio, colpisce immediatamente il fatto che i film di chiara matrice ideologica e di esplicita propaganda non siano che poche decine dagli esiti artistici spesso assai modesti.

E’ il caso di Camicia nera, 1933, di Forzano, ideato per celebrare ed esaltare la marcia su Roma e di Vecchia guardia, 1934, di Blasetti, imperniato sul racconto della nascita del fascismo e, dunque, rievocando fatalmente momenti di guerra civile, che piacque poco ai committenti. Ci sono poi un gruppo di film bellici, destinati a raccontare ed esaltare le imprese guerresche del regime, come L’assedio dell’Alcazar, 1940, di Augusto Genina, ambientato nella guerra civile spagnola; Lo squadrone bianco, 1936, ancora di Genina e Luciano Serra, pilota, 1938, di Goffredo Alessandrini, esaltazioni della guerra d’Africa.

Successivamente sulla seconda guerra mondiale si possono ricordare Bengasi, 1942, sempre di Genina, e Giarabub, dello stesso anno, di Alessandrini su un gruppo di soldati italiani impegnati a resistere eroicamente agli assalti inglesi in un fortino nel Nord Africa. A questi si possono aggiungere i tre film marinari di De Robertis e Rossellini, Uomini sul fondo, 1941; Alfatau, 1942; Marinai senza stelle, 1943, tre lavori privi del tono retorico dei titoli precedentemente ricordati. E ancora solo di Rossellini Nave bianca, 1941.

In fondo il film ideologicamente fascista più riuscito è Noi vivi, 1942, di Goffredo Alessandrini che non esalta il regime, ma funziona in chiave di propaganda anti-sovietica. In ogni caso l’obiettivo evidente dei vari film bellici è quello di mostrare la guerra come un valore e propagandare l’idea che le mire espansionistiche del regime, come l’ingresso nel secondo conflitto mondiale, siano interventi patriottici e non aggressivi.

Tuttavia la stragrande maggioranza della produzione cinematografica del ventennio è di tutt’altro tipo: prevalgono nettamente la commedia, i telefoni bianchi, i melodrammi amorosi, le rivisitazioni storiche, i remake delle operette ungheresi, e prende il via un cinema calligrafico, tratto da matrici letterarie. I modelli del nuovo immaginario fascista più dichiaratamente popolare in realtà si ispirano al nemico: a Hollywood e al cinema sovietico. Assurdo? Forse non più di tanto perché, come ricorda Vito Zagarrio nel suo libro Cinema e fascismo, Mussolini non vuole un cinema in camicia nera e, come afferma Bottai nel 1938: “l’arte direttamente manovrata dal governo… perde ogni efficacia propagandistica”.

E’ come se, attraverso il cinema di genere, il fascismo si limitasse a evocare dei modelli sociali e antropologici da suggerire agli spettatori. Nei film del ventennio emerge la virile e rassicurante figura dell’uomo eroe e il ruolo sottomesso della donna. Benché, nonostante la censura, a volte emergano rappresentazioni più trasgressive, che, in qualche caso, arrivano a suscitare scandalo, come testimoniano il seno scoperto di Clara Calamai ne La cena delle beffe o quello di Doris Duranti in Carmela. Non è un caso che anche la rassegna di film, che accompagna l’iniziativa “Il Fascismo: un ventennio di immagini” in programma alla Casa del Cinema di Roma, proponga prevalentemente film evasivi e leggeri. In fondo appare evidente che l’indottrinamento della popolazione in funzione di creare il consenso attorno al fascismo e manipolare le masse, il regime lo abbia affidato ai cinegiornali del Luce, una sorta di televisione ante litteram, considerato uno strumento assai più efficace e funzionale dei film per raggiungere gli obiettivi prefissati. E, forse, alla luce di quanto accaduto durante il ventennio, non è un caso che, nel dopoguerra, accanto ad un cinema prevalentemente di sinistra, i governi, che si sono succeduti negli anni, si siano molto più assiduamente preoccupati della Rai e delle tv, piuttosto che dei film che venivano prodotti.

08 Novembre 2022

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