I diari di Francesco Rosi

In occasione del centenario di Francesco Rosi la Film Commission della Regione Campania in collaborazione con l’editore La nave di Teseo ha pubblicato i 'Diari' del regista


In occasione del centenario di Francesco Rosi la Film Commission della Regione Campania in collaborazione con l’editore La nave di Teseo ha pubblicato in volume alcune straordinarie agende manoscritte, illustrate da schizzi e bozzetti, del grande cineasta napoletano: Diari. Da Salvatore Giuliano a Carmen: il cinema della ragione (1961-1984), a cura di Maria Procino.

Scrive nella prefazione Giuseppe Tornatore: “Sono pagine che per le nuove generazioni di giovani che aspirano a padroneggiare la lingua delle immagini, valgono più di una lezione di cinema, di metodologia e di stile. Tra quelle inerenti l’incubazione della pellicola Lucky Luciano, leggo una breve espressione che mi colpisce particolarmente perché evoca in me tutta l’angolazione mentale ed esistenziale di Francesco. Dopo aver delineato l’articolazione della scaletta d’apertura del film, lui annota: ‘Raccontare con rigore documentario l’ordine può essere più o meno cronologico, sempre logico’. Un ammonimento a se stesso che racchiude tutto il senso del suo essere cittadino del mondo e artista del cinematografo. Per Francesco Rosi ogni valore, per quanto prezioso, è sacrificabile alle leggi del racconto cinematografico: la bellezza, la chiarezza narrativa, la poesia del linguaggio, la naturale successione dei fatti storici, persino la verosimiglianza e la ricerca ostinata della realtà, ma mai la logica. Essere razionali a tutti i costi è la chiave di volta per comprendere la prospettiva civile di Francesco Rosi uomo e cineasta. E sembra essere, il suo, un monito proiettato caparbiamente verso il futuro. Un’esortazione all’odierna umanità smarrita in una piega della Storia sempre più simile a una pellicola mal concepita e senza speranza di successo, per la semplice ragione che ha perduto la logica”.

Tornatore, va ricordato, aveva pubblicato presso Mondadori nel 2012 l’imperdibile volume d’interviste con Rosi intitolato Io lo chiamo cinematografo. Carolina Rosi, che sta amorosamente valorizzando il vasto patrimonio lasciato dal padre, osserva che il volume offre “le osservazioni a volte anche dolorose, le domande sul cinema, sul valore della cultura, gli schizzi di una scena che aveva già in mente, le riflessioni calate nel vissuto della sua anima: un itinerario cadenzato dove si sovrappongono momenti biografici a momenti artistici a momenti lavorativi, perché il cinema come il teatro è arte, ma anche un mestiere che chiede sacrifici”.

Nel 2017, grazie agli archivi rosiani, l’editore Rizzoli aveva pubblicato I 199 giorni del Che. Diario di un film sulle tracce del rivoluzionario .Intellettuale dialettico per eccellenza, Rosi rivela nei diari non solo la propria metodologia alla continua ricerca delle verità ma anche un’infinità di dubbi e di paure creative: “Ogni volta che io mi accingo a fare uno di questi film – parlo di Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei, Lucky Luciano, Cadaveri eccellenti – ho la sensazione di gettarmi in una avventura dalla quale non posso sapere mai in precedenza come ne uscirò. Il momento della ‘precedenza’ starebbe a indicare la fase che corrisponde alla sceneggiatura del film. Questa fase non è mai conclusa, il film rimane aperto a ogni sollecitazione della realtà, a ogni scoperta, a ogni sviluppo. È stato così per ognuno di questi film, per cui mi sono trovato a cambiare scene, sostituirne, inventarne di nuove, cambiare il finale previsto, durante la lavorazione, in moviola o addirittura a montaggio ultimato. Da che dipende questo? Non lo so con precisione. Penso che dipenda dalla mobilità della materia scelta che vuole rimanere aperta a prendere posto nel film trascinandosi dietro le sue ambiguità con le quali si presenta nella vita. Devo confessare che durante la lavorazione di questi film il mio stato d’animo oscilla tra la esaltazione eccitante e la paura deprimente. Ho delle grandi paure: paura di essermi messo a provocare qualcosa più grande delle mie possibilità di capire; paura che mi sfugga qualcosa di fondamentale per capire; paura che il quadro non risulti completo, le paure della responsabilità insomma. E ciò nonostante vado avanti, anzi direi che la mia eccitazione aumenta in ragione delle mie paure e che il mio gusto di provocare la materia diventi un carburante senza il quale sarebbero impossibili queste sfide. Perché di questo si tratta. Di sfidare ogni volta il mistero della realtà, quando si vuole tentare di catturarla, di imprigionarne un pezzo o un momento. E allora come risolvo tutto questo? Cercando a livello di linguaggio di non far prevalere una tesi, per quanto comprendo bene che anche chi dica che da certi miei film può apparire proprio il contrario. Solamente considerando il film come una testimonianza riesco a vincere le mie paure”.

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22 Novembre 2022

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