“Dopo il successo di Lavorare con lentezza mi aspettavo di fare un nuovo film in tempi brevi, ma sono rimasto deluso. Ho fatto proposte difficilmente catalogabili e mi sono allontanato dai temi usuali, così è diventato molto difficile arrivare al primo ciak”. Così Guido Chiesa, messi in lista d’attesa un paio di progetti (un film dal romanzo “Io non chiedo permesso” di Marilù Manzini, storia di una ragazza borghese segnata da anoressia, abusi di sostanze, shopping compulsivo e una sceneggiatura sul modello pedagogico contenuto nel Vangelo di Luca, intitolata Let it be) si sta dedicando a un documentario dalla struttura complessa e ambiziosa, che vuole essere una “riflessione sul tramonto del modello illuminista di controllo” per accedere a una dimensione impalpabile e sottile da applicare anche ai temi della politica.
Realizzato in coproduzione tra Italia (Orione), Danimarca (Zentropa) e Francia (JPL) e con il contributo del nostro ministero, il film – come ha raccontato il regista in esclusiva a CinecittàNews – parla di previsioni del tempo e lavoro precario postulando un affascinante paragone tra la natura imprevedibile dei movimenti e quella delle perturbazioni.
Come è strutturato il film?
E’ articolato in tre parti. La prima, che in realtà è quella da cui ha preso vita il progetto, parla degli intermittenti. A Cannes nel 2004 ci fu una forte presenza dei lavoratori precari dello spettacolo e il produttore Giovanni Saulini mi chiese un instant movie sulle loro lotte, ma l’idea non mi convinse. Però cominciai a riflettere su come i movimenti erano cambiati nel corso della mia esperienza politica. Pensandoci mi sembrava sempre più che i movimenti funzionassero come le nuvole. Arrivano e spariscono senza preavviso. Talvolta sono disastrosi, talvolta procurano solo qualche fastidio. Cominciai a studiare le nuvole e chiesi aiuto a Luca Mercalli, un metereologo torinese che lavora nel programma di Fabio Fazio ed è anche impegnato politicamente sui temi dell’ambientalismo e della TAV. Mercalli, che è un esperto, ha confermato la mia intuizione: la similitudine funziona. Le nuvole appaiono omogenee ma solo a distanza, cambiano in continuazione e anche quando creano danni sono necessarie alla vita. I movimenti rimettono l’energia in circolo, sono una risposta alle energie bloccate della società. So che è una lettura eretica, ma persino la classe operaia si può interpretare come una risposta energetica al capitale. Quando ha preso il potere ha provocato disastri come a Tien An Men o Praga; altrove è semplicemente scomparsa. Ora i movimenti del precariato sono una risposta alla nuova fase del capitalismo.
E’ un argomento difficile da rendere accessibile.
Per parlarne ho scelto tre storie: quella di quattro giovani intermittenti; quella di un artista che lavora anche nel campo della scienza e quella, appunto, di Luca Mercalli. Il documentario li segue nella vita quotidiana e li fa parlare, poi ci sono i materiali di repertorio e d’archivio, le immagini delle nuvole, e un cartone animato che funziona da voce narrante. Idealmente mi piace pensare che di questo film possano discutere uno scienziato, un politico e un religioso. E’ un film-laboratorio come quelli di Chris Marker o di Errol Morris.
Si è ispirato a questo modello di cinema?
Ho guardato soprattutto a Errol Morris, un documentarista americano che ha vinto l’Oscar nel 2004 con The Fog of War: Eleven Lessons From the Life of Robert S. McNamara. Negli Stati Uniti è molto amato e rispettato. Nel 1988 un suo documentario, The Thin Blue Line, ha fatto riaprire un caso giudiziario e ha salvato un condannato a morte. In particolare uno dei suoi lavori, Fast, Cheap and Out of Control, ha qualcosa in comune con il mio progetto perché è una riflessione sull’intelligenza artificiale attraverso le figure di un domatore di leoni, un esperto di talpe, un giardiniere specializzato in siepi tagliate a forma di animale e uno scienziato informatico. È un film che dimostra come un saggio possa essere divertente. In letteratura è più facile affermare questo tipo di cose, perché la letteratura non costa niente: e così i miei amici Wu Ming riescono a creare i loro libri, mentre al cinema un progetto che esce dalla norma viene rifiutato.
E’ stato arduo dunque trovare i finanziamenti.
Il ministero italiano, che ringrazio, ha avuto fiducia nel mio nome e mi ha concesso il finanziamento per un progetto che sulla carta non è semplice da capire, mentre Eurimages ci ha semplicemente respinto e questo lo considero scandaloso. Ma credo sia colpa della latitanza dei nostri politici a livello internazionale. Comunque ho parlato con filmaker britannici e francesi e ho trovato ovunque questa sensazione di una generale restrizione dello spettro linguistico e dei contenuti. Questo è dovuto alla televisione che sempre più spesso vuole temi per il grande pubblico. Persino Arte sta ridimensionando gli spazi per la sperimentazione e va a caccia di temi di immediato impatto raccontati con stile accettabile. Si tratta di un problema europeo e non solo italiano.
Come si integra nel suo percorso questo nuovo progetto?
Lavorare con lentezza è un approdo e chiude un percorso politico. Sono cresciuto con la convinzione che un certo modello di società si sarebbe alla fine affermato, ma ora ho rimesso in discussione questa convinzione illuministica e il discorso scientifico è un ottimo esempio di questo processo. La meteorologia, in particolare, nasce proprio con l’illuminismo, spesso con scopi militari, poi nel XX secolo arriva a comprendere che le leggi di Newton non funzionano, che la realtà non si piega alla legge dei numeri.
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