Grazia Tricarico: tra Ovidio e la video-arte

Di progetto in progetto la regista pugliese continua a lavorare al suo esordio nel lungometraggio. L'abbiamo incontrata al Festival di Toronto, dove presenta il suo corto 'Persefone'


TORONTO – A Toronto abbiamo visto Persefone, un cortometraggio – prodotto da CSC Production con il sostegno di Apulia Film Commission – dai molti livelli e riferimenti (classici, come tiene a sottolineare l’autrice). Dopo aver vinto il Pipistrello d’oro al Fantafestival con Bios realizzato per il suo primo anno al Centro Sperimentale di Cinematografia e il Premio di Corto in Bra con quello per il secondo, Mona Blonde, la giovane regista ha continuato a produrre film di qualità che sono stati molto apprezzati nei festival nazionali e internazionali. Con in testa il sogno di un lungometraggio.    

Il cortometraggio si apre con una ripresa subacquea: si è complicata subito la vita…

Era inevitabile, su una settimana di riprese, abbiamo fatto cinque giorni di mare abbondanti. Tecnicamente è stato molto complesso, con riprese aeree e subacquee insieme, e con la luce che reagiva in maniera diversa alle diverse profondità… E’ stata un’esperienza folle e affascinante insieme. Era la prima volta per tutti noi, ma questo ha fatto sì che diventasse uno stimolo, per fare meglio e prima. Avevamo poco tempo, anche perché a fine settembre l’acqua era molto fredda per gli attori. Abbiamo raggiunto una concentrazione strana; non avevamo la sensazione di fare un corto per la scuola. 

E’ arrivata al titolo dalla storia della giovane restituita dal mare o viceversa?

Sono partita da Ovidio. Dal rapimento e dal mito classico. La volevo regina di confine e da lì ho iniziato a costruire. La mitologia classica è qualcosa a cui sono molto legata. Prima o poi farò un adattamento delle Metamorfosi. Il titolo è arrivato subito, visto il respiro mitico che ha influenzato tutto, anche la costruzione delle scene, con le Diomedee che osservano o le donne in nero, sorta di Parche.    

Eppure siamo in un ambito diverso da alcune sue prove precedenti…

Brightbox è venuto dopo aver fatto soprattutto videoarte, ed è stato il primo che assomigliasse a un film. Poi ho studiato cinema alla Cattolica per 5 anni, nell’ultimo anno del professor Casetti, qualcosa di cui vado molto fiera. Poi sono arrivata al CSC, dove ho fatto tutti i miei lavori successivi. Da Bios – una distopia, una forzatura dell’immaginario e un gioco col genere – a Mona Blonde, entrambi centrati su un discorso di corpo e spazio, fino ai più recenti.  

Un rapporto, quello con il Centro, che continua, almeno produttivamente…

Di solito io ho un rapporto un po’ conflittuale con l’istituzione in generale, ma il Centro mi ha dato molte cose, soprattutto i suoi studenti. Poi se questo debba diventare un discorso produttivo lavorativo anche al di fuori non lo so.  

Oggi cosa sta facendo?

In questi giorni sto finendo di scrivere il mio primo lungometraggio, con lo sceneggiatore che è in Italia e che sento di notte su skype. Dovrebbe essere ambientato a Roma, ma in realtà è una storia europea, di confine, per ora quello tra Italia e Svizzera. Vedremo se qualcosa cambierà, visto che questo potrebbe non interessare alla realtà produttiva italiana in questo momento, ma uno dei personaggi dovrebbe essere un frontaliere. Non il principale, però, che sarà una bodybuilder. Lo stesso personaggio del corto Mona Blonde, anche se l’idea del lungo è completamente diversa dal punto di vista narrativo da quello che voleva essere una sorta di studio preliminare…  

Teme già che ci possano essere pressioni da parte della produzione?  

Dal punto di vista produttivo, sicuramente. Sul set però mi piacerebbe esordire con ragazzi giovani. Onestamente credo siano persone validissime e hanno solo bisogno di uno spazio per farsi conoscere. Sarebbe fantastico lavorare con – per esempio – un direttore della fotografia importante scelto da una grossa produzione, anche per l’esperienza che porterebbe. Ma io credo che se si vuole un cambiamento, serve che si emerga tutti insieme. Siamo generazioni diverse, parliamo un linguaggio diverso da un cinquantenne o un sessantenne, per quanto possa stimarli.  

Ma qual è lo stato dell’arte?

Per ora c’è interesse, ma nulla di concreto. Ho degli appuntamenti e sul piano internazionale sono più speranzosa che su quello italiano. Il corto sta avendo molta fortuna, soprattutto nei festival. Ora andremo a San Francisco, poi a Brest e abbiamo fatto già Edinburgo e un paio di altri nazionali. Questo mi fa pensare che l’idea del film non sia del tutto sbagliata, anche perché tutti me lo chiedono.    

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16 Settembre 2014

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