Giuseppe Tornatore: “A Leningrado, a Leningrado!”


“Hanno sintetizzato in un’ora e mezza 40 anni della mia vita”, così Giuseppe Tornatore parla, con un certo malcelato orgoglio, del documentario di Luciano Barcaroli e Gerardo Panichi Giuseppe Tornatore Ogni film un’opera prima, molto apprezzato in Prospettive Italia. Il film, perché di film vero e proprio si tratta anche per la durata di 101′, è stato realizzato da due autori che si sono in passato occupati di Terrence Malick con Rosy-fingered Dawn. Anche qui sono riusciti a conquistare la fiducia di un cineasta schivo e hanno avuto accesso al suo archivio personale, in particolare i materiali super8 realizzati da giovanissimo, immagini della Sicilia ingenue ma già dotate di grande fascino visivo, dove ogni faccia nasconde e svela una storia. Punti in comune con Malick? “La forza di volontà e l’energia incredibile. Per loro fare un film è un’impresa: una guerra per l’americano, una passione totale per l’italiano”, dicono i due registi. Prodotto da Stilelibero con il supporto di Roma Lazio Film Commission, il documentario proseguirà il suo percorso attraverso i festival, con l’ambizione di essere venduto alle tv di tutto il mondo, grazie alla fama internazionale del 56enne regista di Nuovo cinema paradiso e Una pura formalità .

 

Tornatore, come mai ha detto sì ai due autori?

Avevo visto il loro documentario su Malick e mi era piaciuto moltissimo. Mi ha sorpreso l’idea che volessero fare un film su di me. Mi hanno intervistato in vari momenti e ho scoperto che la mia attitudine cambiava. Ho visto un me stesso a più dimensioni.

 

La vecchia sala, con il fascio di luce che esce dalla buca del proiezionista, resta il luogo magico per eccellenza del suo cinema e lei ricorda spesso la prima volta che ha messo piede in un cinema da bambino.

Sì, la prima volta che sono entrato in un cinema proiettavano Uno sguardo dal ponte di Sidney Lumet. Da lì si è incubata la mia malattia… Avevo 7 anni, ero con mio padre, ricordo che entrammo a spettacolo già cominciato, anzi quasi alla fine, c’era il duello con gli arpioni di ferro e io mi chiesi da dove fossero entrati quegli uomini enormi. E’ accaduto in un cinema di provincia da 1.300 posti che ho raccontato in Baarìa. Ricordo anche il Cinema Delle Palme di Villabate, in provincia di Palermo, dove la gente entrava e salutava anche durante la proiezione. Quando si sta accanto a persone che si conoscono cambia la nostra percezione di un film, perché magari sei seduto vicino al macellaio, di cui sai tutto, e il giorno dopo il dibattito continua in macelleria.

 

Adesso va ancora al cinema?

Sì, anche se meno spesso di quanto vorrei. Prima vedevo almeno 2 film a settimana. Domenica scorsa ho portato mia figlia a vedere Hotel Transylvania, è un genere che amo fino a un certo punto, ma lei mi ha promesso che, se mi addormento, mi lascia dormire.

 

Nel documentario lei parla anche dei film che non ha fatto. Tra questi “Leningrado”…

La consapevolezza dei film che non ho fatto l’ho avuta proprio grazie al documentario, alle immagini che non c’erano perché erano rimaste nella mia testa. In qualche caso però non è detta l’ultima parola. Ci accingiamo alla preparazione di
Leningrado, un progetto a cui lavoro dal 2000 e che ha avuto molti stop. Non mi azzardo a dire che si farà perché so che in qualunque momento può saltare, è un film complesso e costoso. Ma ora l’americano Avi Lerner di Millennium ci sta lavorando, stiamo cercando la quadratura del cerchio produttivo.

 

Nel frattempo lei ha girato anche “The best offer”, una storia d’amore con un cast internazionale con Geoffrey Rush, Donald Sutherland e Jim Sturgess. Stiamo assistendo a una nuova fase della sua carriera dopo aver concluso l’esplorazione del mondo siciliano?

Baarìa indubbiamente conclude un ciclo: ho raccontato quello che pensavo di dire sulla Sicilia, ho esaurito una stagione. Oggi mi sento, più che in passato, libero di zigzagare, di guardarmi intorno con una nuova curiosità. Di The best offer, che attualmente è al missaggio, posso solo dire che ha due versioni, una italiana e una inglese, e che uscirà il 1° gennaio.

 

Che ricordo ha di Ben Gazzara, scomparso all’inizio di quest’anno, che fu protagonista del suo primo film, “Il camorrista”?

Lui aveva già molto successo, io ero uno sconosciuto, ma accettò il ruolo per fiducia, simpatia e il gusto del rischio.

 

E di Tonino Guerra, che tra l’altro collaborò alla sceneggiatura di “Stanno tutti bene”?

Tonino non finirò mai di amarlo. In qualunque momento avevi bisogno di un giudizio, di un pensiero, lui era sempre pronto. Un amico più che un collaboratore, che mi manca tanto.

 

Cosa pensa delle nuove leve del cinema italiano?

Vedo tanta passione per il cinema, i giovani, incoraggiati dalle facilitazioni della tecnologia, possono fare molto, anche se è sempre più difficile il rapporto col mercato. Il mercato punta sulle formule che garantiscono il successo, quindi c’è sempre meno coraggio e capacità di rischiare da parte della produzione.

 

Le piacerebbe produrre qualche nuovo autore?

L’ho già fatto varie volte, con Roberto Andò, Scimone e Sframeli, Cabiddu. E mi sono divertito moltissimo. Quindi non escludo di ripetere l’esperienza.

17 Novembre 2012

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