Giuseppe Arena, il fratello Peppe di ‘Mixed By Erry’

La prima volta sul grande schermo per una storia napoletana, per lui partenopeo di nascita, classe 1988. Il talento necessita di passione, ovvero “recitare dev’essere l’unica cosa che si desidera"


La prima volta di Giuseppe Arena – classe 1998 – sul grande schermo, nel ruolo di Peppe, uno dei tre fratelli Frattasio di Forcella: debutta da protagonista nella storia (vera) di Mixed By Erry di Sydney Sibilia (leggi il nostro articolo).

25 anni e il debutto al cinema: quando e come arriva quest’arte nella tua vita, e cosa dell’interpretazione cinematografica hai compreso appartenere alle tue corde d’attore?

 Ho sempre amato il cinema come il teatro, così come scrivere e dipingere, è proprio il mondo dell’Arte che m’ha sempre affascinato, sin da bambino. Dall’asilo, ricordo i primi spettacolini da protagonista: ero spigliato e con più coraggio, spesso i piccoli s’imbarazzano e si bloccano, ma io no, mi sentivo molto a mio agio. La cosa è continuata durante la scuola: il mio periodo scolastico preferito era dicembre, perché si preparava lo spettacolino di Natale. Dopo le elementari inizio il mio percorso di studio del teatro, a Bacoli, il mio paese, e lì prendo coscienza che forse sia davvero la strada da prendere, perché non c’era cosa che m’interessasse di più. Però, quando mi sono poi iscritto al Liceo Artistico, ho fatto un po’ un passo indietro: mi viene un dubbio, perché non mi bastavano ‘le recite scolastiche’ e entrai un po’ in crisi, domandomi se invece non volessi fare il pittore. L’inizio della pubertà è proprio il periodo più difficile! Poi, però, la fortuna mi fa conoscere Lucio Pierri, grande maestro di teatro, che mi dà una cosa fondamentale: il coraggio, e mi mette uno spettacolo tra le mani, da protagonista; nelle recite precedenti ero sempre stato l’ultima ruota del carro, forse fu questa la cosa che mi fece entrare in crisi, avevo quasi smesso di credere in me e nella mia passione. Poi, dopo 5/6 anni tento il provino per il Teatro Bellini di Napoli, solo che ‘bravo, bravo, bravo’ ma non mi prendono: crisi, di nuovo. E lì un altro punto interrogativo: ‘è davvero questa la strada?’, mi sono chiesto; a quel punto ero cresciuto, avevo 20 anni. Però non mi volevo arrendere, dopo dieci anni di teatro, studio, spettacoli, ho detto: ‘voglio provare col cinema’ e mi sono informato quale potesse essere una giusta scelta per quel percorso, così arrivo a ‘La Ribalta’ di Marianna De Martino, e il cinema entra nella mia vita. Confesso che non pensavo fosse così seria la cosa: mi iscrissi, partecipavo alle lezioni, in fondo mi bastava come pane quotidiano, e invece ho capito essere proprio un’accademia con la A maiuscola, e ancora oggi la frequento.

E così arriva la prima volta sul set, un debutto in classe A. Dopo questa opportunità, come stai lavorando per cercare di tenere alta l’asticella della tua presenza al cinema?

Io mi sto vivendo ‘il momento’, perché mi sembra un sogno: lo vivi ma nel tuo subconscio pensavi non l’avresti mai vissuto; addirittura, vivo con la sottile paura che da un momento all’altro io possa ‘svegliarmi’, quindi mi sto vivendo l’attimo, attendendo il futuro e cosa ci riserva.

Qual è il tuo ‘metodo’ di recitazione? La tua tecnica? Oppure sei un attore ‘di pancia’?

 Lo stesso Sydney mi definisce molto tecnico. Sono tecnico anche se cerco di buttarla sull’esperienza di quello che mi capita, riportando sempre me adattato al personaggio: esempio, se devo arrabbiarmi per la scena, comincio confrontando come mi arrabbi io, cosa voglia dire provare il sentimento della rabbia, e come si arrabbierebbe il mio personaggio. Fondiamo le cose e quanto più riesco a essere nel personaggio, più sono soddisfatto. Quindi, parto da un lavoro su di me e mi butto poi sopra il personaggio.

È efficace, per un attore in crescita, avere delle figure attoriali d’ispirazione professionale, oppure è più saggio guardarle per ammirazione ma poi concentrarsi sulla propria individualità?

Credo sia giusto ‘rubare’ per imparare, fa parte della furbizia di un artista: guardare, soprattutto le figure dei professionisti. ‘Come’ si può ammirare un Vittorio Gassmann? Lo osservi, ne resti innamorato, ma se vuoi fare l’attore ti deve lasciare qualcosa che tu ‘prendi’: il processo di ‘rubare’ è naturale, è automatico cercare guardare e imparare attraverso queste figure, che però non significa copiare, assolutamente. Nel cinema italiano, hai un interprete che consideri un faro di riferimento? Sono innumerevoli, da Gassmann appunto a Nino Manfredi, per me – con Sordi – una chicca del Cinema italiano; insieme alla scuola napoletana di De Filippo e Totò, ma ne sto escludendo tantissimi che meritano altrettanto. Li ammiro dapprima come uomini, cerco sempre la loro umanità, per esempio guardando le loro interviste, e poi quanto siano veri nel loro mestiere, cosa che puoi ammirare, studiare, pur riconoscendo che sia qualcosa di inarrivabile. Sono colossi.

Mentre da spettatore, al di là del tuo mestiere, cosa guardi con più piacere e curiosità? E ricordi il primo film visto al cinema o il primo film che ti ha segnato nell’idea di far l’attore?

Sicuramente guardo con passione appunto De Filippo e Totò, ma anche Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, miei idoli sin da bambino, perché si guardavano in casa; è da quella scuola che parte tutto. Sono sincero, non ricordo il primo film visto al cinema, ma nemmeno uno in particolare che mi abbia alimentato la voglia di fare l’attore, ma è certo che ogni volta, ma davvero ogni volta, che guardo un film, una serie, una scena, un personaggio, un attore, mi si rinnovi la voglia, da sempre.

Parliamo di talento: premesso che non tutti gli attori siano ‘di talento’: tu hai compreso cosa significhi ‘avere la stoffa’, cosa sia ‘il talento’ appunto?

Io credo… che il talento sia qualcosa da coltivare e lavorare, un po’ come per il canto: si dice che siano pochissime le persone davvero stonate, che siamo tutti intonati ma che le corde vocali vadano allenate; credo che il talento per la recitazione sia quasi… la stessa cosa, ma dapprima è una cosa che devi possedere però, a differenza di quel che si dice del canto, è ‘un’anima’ predisposta, ma al tempo stesso va studiata e lavorata tantissimo. Il talento, se non accompagnato da una forte passione – che significa: recitare dev’essere l’unica cosa che si desidera nella vita, e non lo dico tanto per dire – potrebbe andar sprecato. C’è altrettanto chi ha tantissima… passione, ma non è dotato o non ha coltivato il talento. È un concetto complicato ma di certo vanno a braccio la passione, la determinazione, e la voglia matta di raggiungere un obiettivo, la cosa che ti spinge a lavorare duro su ciò che si desidera nella vita.

Il debutto nel film di Sibilia ti ha visto protagonista sì, ma corale: il protagonista è ‘il gruppo dei tre fratelli’ Frattasio. La resa della fratellanza è molto efficace, spontanea, ma non scontata: siete un unico soggetto composto da tre nuclei. Come si raggiunge questa naturalezza?

È incredibile: è dal primo incontro, lo giuro, che ci siamo sentiti fratelli, forse perché lo volevamo, forse perché dovevamo, forse perché ci abbiamo creduto, e il lavoro dell’attore sta soprattutto nel credere in quello che fai, se non ci credi ‘non arriva’. E noi sin da subito siamo stati fratelli, anche al di fuori del set, litighiamo anche come fratelli, è davvero incredibile, forse è questa la magia del cinema? E poi ci ha aiutato senza dubbio – e qui ringrazio la produzione, a cui riconosco lo sforzo – che, anche grazie alla pandemia, per evitare contatti ulteriori, ci hanno chiesto di condividere la casa per tutto il tempo delle riprese e questa cosa è servita tanto, vivendo insieme, tutti i giorni, tutto il giorno, beh… aiuta, aiuta tantissimo!

Per il tuo mestiere di attore, che bagaglio ti porti a casa da questo tuo primo set?

È appunto la mia prima esperienza, per questo è inevitabile dire che… c’è un termine che possa definire sia stato qualcosa al di sopra del meraviglioso? Lo chiedo sul serio. Ho sempre sognato di fare l’attore, di dar voce al piccolo artista che vive in me, perché l’artista che è in un artista è il Sé bambino, l’animo bambino, la voglia di giocare che non svanisce, e l’esser riuscito a far parlare questo me-bambino che voleva solo recitare: non posso che dire sia stata un’esperienza che porterò con me per sempre, e sono felice che questa emozione sia stata possibile grazie alla storia di Mixed By Erry con Sydney alla regia, strepitoso lavorativamente ma soprattutto umanamente, in grado di far lavorare gli attori con sinergia e naturalezza, mettendoti a tuo agio, insieme a tutte le persone e ai reparti intorno a lui. Sono felice che Groenlandia sia stata la mia prima famiglia cinematografica perché così non c’è il rischio che la dimentichi mai.

Progetti per il futuro. 

In questo momento sto aspettando delle belle cose che spero possano arrivare presto: c’è un provino, il ruolo per una serie, sono fiducioso ma… è ancora tutto da vedere.

autore
18 Marzo 2023

Slow reading

Slow reading

Tornano in sala gli angeli di Wenders. Ecco i 10 capolavori per capire Berlino

Metti piede a Berlino e ti scopri a pensare che qui la storia ha lasciato profonde cicatrici sul volto della città. Ferite rimarginate eppure che non smettono mai di evocare....

Attori

Giulia Mazzarino: ‘L’incidente’ è la storia di una donna fragile, pura e incosciente

L'attrice torinese è la protagonista dell'opera prima di Giuseppe Garau, che sarà presentata al Lucca Film Festival 2023 come unico titolo italiano in concorso

Slow reading

Yile Vianello: “Ciò che conta nel mio lavoro sono gli incontri umani”

L'attrice 24enne, tra i protagonisti di La bella estate di Luchetti e La chimera di Rohrwacher, spiega a CinecittàNews di essere felice dello spazio che è riuscita a ritagliarsi nel cinema d'autore

Slow reading

Michele Savoia: “Dai Me contro te a ‘Ferrari’, è bello poter ‘giocare’ nel nostro mestiere”

L'attore pugliese, 34 anni, racconta a CinecittàNews la sua esperienza nella saga cinematografica campione di incassi e nel film di Michael Mann


Ultimi aggiornamenti