Dal 10 ottobre al cinema distribuito da Sun FILM Group Il banchiere anarchico di Giulio Base, presentato a Venezia 75 (Sconfini) e tratto dall’omonimo libro di Fernando Pessoa, scritto dal geniale poeta portoghese nel 1922 e tradotto in più di cento lingue. Prodotto Da Agnus Dei con Rai Cinema, Solaria Film, G.B. Productions e AlberTeam Group, il film mette in scena il flusso di sillogismi e labirinti logici tra un potentissimo banchiere, interpretato da Giulio Base, e l’unico amico presente a festeggiare frugalmente il suo compleanno (Paolo Fosso). Un dialogo serrato sulla fede anarchica, in cui il banchiere sostiene che quel suo impero economico trae origine da una volontà di lotta sociale evoluta, che va condotta in completa solitudine, ma non per questo meno radicale dell’ideologia di quelli che si professano anarchici duri e puri. L’uomo stordisce l’ospite con una colta esposizione sofistica intrisa di idee incendiarie contro le ingiustizie della borghesia e di denunce feroci nei confronti della strapotenza del veleno mortale che mina dall’interno la nostra libertà: il denaro. Denaro che il banchiere ha incamerato senza scrupoli e senza regole. Per essere libero, sostiene.
Al film il Premio Persefone assegnato dalla giuria presieduta da Maurizio Costanzo e Francesco Bellomo che ha assegnato il riconoscimento con la seguente motivazione: “Il film evidenzia una delle più sottili ed intelligenti critiche alla politica e alla società del tempo. Inoltre ci ricorda come la libertà non sia una concessione, o un bene, ma sempre un faticoso traguardo, il tutto in un’atmosfera degna del miglior Pessoa”.
Da cosa nasce l’idea di questo film capace di mostrare tutta la grande contemporaneità dell’opera di Pessoa
Nasce dal mio amore assoluto per la letteratura e per Pessoa in particolare, per il quale nutro una dedizione totale. Non è stata la sua prima opera che ho letto, ma sicuramente è quella più visionaria, scritta un centinaio di anni fa, quando politica e società non erano ancora così contaminate, mostra tutta la contemporaneità dei moderni intrecci e delle attuali forme di corruzione. Non c’è giorno in cui il novanta percento dei quotidiani non abbia un titolo che affronta queste problematiche.
Peculiare la scelta stilistica: essenziale e teatrale ma al tempo stesso ritmica, segue, attraverso movimenti di camera e colore, le variazioni del testo originario.
Il primo intento è stato quello di mettersi al servizio del testo, presentare l’opera al pubblico offrendola quasi come su un piatto d’argento. La priorità era il racconto. La messa in scena danzante, ritmica, è voluta per questo, come la dinamica vertiginosa della parola di Pessoa che cresce di momento in momento, allo stesso modo io man mano aggiungo qualcosa: colore, musica, rivelazione del volto del banchiere.
Nel film appaiono anche alcuni riferimenti esoterici.
Pessoa era un grande studioso di esoterismo, sognava di essere un iniziato, e così ho voluto inserire nel film elementi come l’accensione del fuoco, che in tutti i riti ha un significato simbolico, o l’apertura degli occhi verso il dispiegamento di un nuovo mondo, come in un’iniziazione. Anche il ritmo musicale richiama al Parsifal di Wagner.
Ha mai avuto la tentazione di mettere in scena la vita che si cela dietro al banchiere, il prima e il dopo di quanto appare nel racconto originario?
Ho avuto la tentazione di provare a mostrare altro, mi sono interrogato su cosa può aver fatto come uomo per arrivare ad essere quello che è. Ma la produzione mi ha chiesto di rimanere totalmente concentrato sul testo, e la ringrazio.
Cosa ne pensa della finanza di oggi, le fa più o meno paura di quella raccontata da Pessoa?
Ho cercato di non prendere posizione, ma sicuramente questa nuova finanza fa paura. Oggi c’è gente che fa i soldi perché altri falliscono, è il meccanismo di fare i soldi con i soldi, ho paura che sia un circolo per pochi iniziati, dalle regole e dal linguaggio incomprensibili. La famosa bolla esplosa nel 2008 ha rovinato molti risparmiatori, ma i vertici sono ancora lì, e questo non mi piace.
Il banchiere emerge come un personaggio profondamente ambiguo, ripugnante ma al tempo stesso affascinante. Lei come lo giudica?
La sanguisuga non si chiede se è un essere ripugnate, vive e basta. E il regista fa lo stesso, non giudica il personaggio. Nella messa in scena non ho sottolineato gli aspetti mefistofelici del banchiere, che pur ci sono. A volte è nauseante, ma è anche un uomo ricco, colto, interessante. È ripugnante? Lascio che a decidere sia il pubblico.
Il libro è anche un dialogo filosofico, il sottotitolo è infatti “Racconto di raziocinio”.
Questo è l’unico libro pubblicato in prosa di Pessoa, pochi giorni prima di morire lo stava traducendo in inglese, perché evidentemente lo riteneva il più interessate. Sono gli anni in cui Jung cominciava a lavorare, quindi ho voluto inserire anche riferimenti alla nascente psicoanalisi. Questa è un’opera che porta alla ribalta il pensiero critico e che fa da spinta a una riflessione sulla contemporaneità. Si può fare cultura in tanti modi, e con questo voglio invogliare lo spettatore ad approfondire e a cercare altro.
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