Sabrina Ferilli ammette candidamente di non conoscerlo, eppure Giorgio Colangeli lavora da tanti anni anche se “un po’ defilato”, come dice lui. Al cinema, in realtà, è arrivato da poco meno di dieci anni. Curiosamente grazie a Ettore Scola. “Mi ha visto nella pièce di sua figlia Silvia e mi ha proposto un ruolo nei suoi tre film successivi, La cena, Concorrenza sleale e Gente di Roma“. Insomma, il presidente della giuria conosceva bene il destinatario del Marc’Aurelio d’oro, ma non è il solo ad aver apprezzato la sua interpretazione fatta di penombre umane e morali: un padre omicida che ritrova il figlio perduto tra le sbarre. Lui è detenuto e forse malato di epilessia, il giovane (Giorgio Pasotti) ha scelto proprio il mestiere di educatore in carcere nella speranza, celata anche a se stesso, di fare i conti con un passato familiare ingombrante. Un’opera prima, diretta da Alessandro Angelini, importante per i temi che tocca, non solo quello quasi dostoevskiano del pesante fardello della prigione anche per chi ne sta fuori ma è legato dagli affetti al colpevole, ma anche il rovesciamento di ruoli tra un figlio che si assume ogni responsabilità e un padre le nega almeno al mondo.
Cosa pensa di un premio che le arriva dal pubblico?
È come un applauso a teatro, in più per me che sono romano è un applauso della mia città. Anzi, ho dimenticato di ringraziare e lo faccio adesso. Anche in altri festival c’è il giudizio del pubblico, ma qui alla Festa di Roma c’è una centralità degli spettatori che mi fa pensare a una resurrezione del cinema.
Ci racconta la sua vicenda professionale?
La mia è stata una vocazione tardiva e imprevista. Il teatro l’ho iniziato quasi trentenne e molto in ambito defilato. Ho fatto teatro per ragazzi e poi prosa e tante tournée. Invece al cinema sono arrivato da appena dieci anni. Ma, come vede, ho fatto presto a scalare i vertici.
Come mai la decisione di passare dal teatro alla fiction e al cinema?
Il teatro è altamente gerarchico. Se non hai visibilità e mercato ti capitano solo ruoli secondari e ingrati. Quando mi sono reso conto che la mia carriera era votata all’anonimato, ho tentato altre strade. Ma senza fretta. La fretta non mi appartiene.
Quando la vedremo ancora?
A gennaio dovrebbero finalmente iniziare le riprese di Henry di Alessandro Piva, dove io sono uno sgangherato capobanda, un criminale un po’ burino, forse un camorrista di Fondi, in una Roma dove tutti vengono da fuori e dove l’eroina sembra essere l’unico mezzo di scambio e comunicazione tra le persone. Poi farò due fiction: quella su Rino Gaetano con Claudio Santamaria e quella sul medico e benefattore Giuseppe Moscati con Beppe Fiorello.
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