“Rubava l’anima ai suoi personaggi”: così Francesco Rosi descriveva Gian Maria Volonté, uno degli interpreti più straordinari della storia del cinema – non solo italiano – che il 9 aprile avrebbe compiuto 90 anni. Parola di uno tra i grandi registi che lo volle protagonista in cinque dei suoi più celebri film: da Uomini contro a Lucky Luciano, Il caso Mattei, Cristo si è fermato a Eboli, Cronaca di una morte annunciata.
Volonté nasce nel 1933 a Milano ma cresce a Torino. È giovanissimo quando si appassiona a Camus e Sartre e si avvicina al teatro, il primo grande amore a cui si dedica per tutti gli anni ’50, entrando in contatto con le compagnie che sperimentano quel filone di ricerca noto come teatro d’avanguardia (o teatro-off), dirompente nei confronti delle tradizioni culturali e del conformismo dell’epoca. Poi, negli anni ’60, si divide equamente tra cinema, teatro e televisione.
Nel 1959 arrivano i suoi primi ruoli sul piccolo schermo, a partire da l’Idiota di Dostoevskij, sceneggiato e interpretato da Giorgio Albertazzi. L’anno seguente, con la compagnia degli ‘Attori Associati’ di Giancarlo Sbragia e Enrico Maria Salerno, recita testi di Shakespeare, Goldoni e, tra gli altri, anche quel Sacco e Vanzetti di Roli e Vincenzoni, che dieci anni dopo lo vedrà protagonista nella memorabile trasposizione cinematografica di Giuliano Montaldo (vedi l’ultimo video qui sotto).
Sempre nel 1960, mentre interpreta Romeo in Romeo e Giulietta, inizia la sua relazione con Carla Gravina (Giulietta), dalla quale nasce nel ’61 la loro figlia Giovanna. In quell’anno Volonté lavora già per il cinema ne La Ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, con Claudia Cardinale. Ma il primo ruolo importante sul grande schermo arriva nel 1962 con Un uomo da bruciare, primo film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani e di Valentino Orsini, in cui interpreta il sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia. Nello stesso anno è sul set di Gianfranco De Bosio ne il Terrorista, accanto a Philippe Leroy. Nel 1963 torna in televisione recitando in Il taglio del bosco tratto dal racconto di Carlo Cassola e due anni dopo, partecipa alla serie Le inchieste del commissario Maigret, con Gino Cervi e Andreina Pagnani. Nel mezzo, ancora teatro militante: Volonté tenta di portare in scena un testo che denuncia i rapporti tra la Chiesa cattolica di Pio XII e il regime nazista, provocando il primo dei molti suoi scontri con la realtà sociale e politica dell’Italia del tempo. Da allora, come è noto, il suo impegno civile accompagnerà tutta la sua carriera anche al cinema, lasciando comunque spazio a tanto altro.
Sono l’esperienza televisiva in La vita e le opere di Michelangelo di Silverio Blasi e il ruolo del ‘cattivo’ nei due film di Sergio Leone – Per un pugno di dollari (1964) e Per qualche dollaro in più (1965) – che gli assicurano il primo vero successo popolare. Poi è la volta della commedia all’italiana, con l’Armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli e di Svegliati e uccidi di Carlo Lizzani, unico film in cui i fratelli Gian Maria e Claudio sono insieme sul set. Tuttavia, pur se agli spaghetti western si deve indubbiamente la fama internazionale di Gian Maria Volonté, i vertici assoluti delle sue interpretazioni sono unanimemente considerati quelli sotto la regia di tre mostri sacri del cinema italiano: Francesco Rosi, Elio Petri e Giuliano Montaldo.
Ribelle, magnetico, impegnato, sono tre degli aggettivi più utilizzati per descrivere il Volonté attore. Un altro suo tratto distintivo è la versatilità senza pari, messa in scena nelle mille sfaccettature delle sue memorabili interpretazioni. Lo sguardo inquietante del questore assassino di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (nella foto sopra e nel video qui sotto), è soltanto una delle tante immagini stampate a fuoco nella mente dei suoi estimatori: basta guardarlo per sentir risuonare una ad una le note palpitanti scelte per il film dal genio di Morricone. Firmato da Elio Petri nel 1970, pluripremiato agli Oscar e a Cannes, inserito nella lista 100 film italiani da salvare, il film fa vincere a Gian Maria Volonté il David di Donatello come attore protagonista.
Con Petri lavora anche in A ciascuno il suo (1967), che gli porta un Nastro d’Argento: è il suo primo incontro con i libri di Leonardo Sciascia, che poi interpreterà anche in Todo modo (1976) sempre di Petri, Porte aperte di Gianni Amelio (1990) e Una storia semplice, di Emidio Greco (1991), per il quale vince il Leone d’oro alla carriera della Mostra del cinema di Venezia. Sul sito dell’Archivio Luce è disponibile l’intervista a Gian Maria Volonté sul suo ruolo in Todo modo e, in generale, sul mestiere dell’attore.
Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ’70 diviene per il grande schermo l’interprete più autentico e definitivo delle ribellioni e degli atti d’accusa verso la società. Tra i tanti film in cui lavora in quel periodo, nel 1968 è Aldo ne I sette fratelli Cervi di Gianni Puccini, e nello stesso anno viene premiato con la Grolla d’oro per l’interpretazione di Cavallero nel film di Lizzani Banditi a Milano. Ancora diretto da Elio Petri, nel 1971 è l’operaio-macchina del drammatico La classe operaia va in Paradiso, miglior film del Festival di Cannes. Poi, a seguire, è l’indimenticabile Bartolomeo Vanzetti nel già citato capolavoro di Giuliano Montaldo e ancora protagonista ne Il caso Mattei e Lucky Luciano di Francesco Rosi, Il sospetto di Citto Maselli e Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio. Quindi è ancora una volta Montaldo a volerlo nel 1973, nel ruolo del filosofo Giordano Bruno. I suoi sono monologhi toccanti come mai visti prima al cinema, a partire da quello di Vanzetti alla vigilia dell’esecuzione: tutte interpretazioni magistrali, che da allora in poi fanno sì che Volonté venga unanimemente considerato uno degli attori migliori nel panorama cinematografico, non solo italiano. Al punto da poter permettersi dei clamorosi no, come quelli a Francis Ford Coppola per Il Padrino (1972) e nel ’76 a Il Casanova di Federico Fellini e a Novecento di Bernardo Bertolucci.
Ma Giordano Bruno, Michelangelo Buonarroti, Aldo Cervi, Enrico Mattei e Aldo Moro sono solo alcuni delle centinaia di personaggi interpretati da Volonté in una carriera che lo ha visto quasi sempre protagonista, per decine e decine di titoli e premi italiani e internazionali, impossibili qui da citare tutti.
Tra il 1978 e il 1979 gira il quarto film con Rosi, Cristo si è fermato a Eboli e si fa promotore della campagna sul tema ‘voce-volto’, secondo cui un attore è tale solo se, oltre a dare il suo volto, dà al personaggio anche la propria voce. Sempre nel 1979 è il protagonista di Ogro, di Gillo Pontecorvo.
Nel 1982 è Plessis nella riduzione televisiva di Mauro Bolognini dell’opera di Stendhal La certosa di Parma e l’anno successivo interpreta il giornalista Bernard Fontana in Mort de Mario Ricci di Claude Goretta, ruolo che gli fa vincere la Palma d’oro a Cannes come migliore attore. Malato di un tumore al polmone, resta assente dal cinema italiano fino al 1986, quando Giuseppe Ferrara lo vuole nel ruolo di Aldo Moro ne Il Caso Moro (personaggio già interpretato in Todo modo, pur se su un registro totalmente diverso), con cui l’anno dopo si aggiudica l’Orso d’argento al Festival di Berlino per la migliore interpretazione. Nel 1987 recita in Un ragazzo di Calabria di Luigi Comencini, e per la quinta volta con Francesco Rosi in Cronaca di una morte annunciata. L’anno successivo è il protagonista-filosofo di L’oeuvre au noir di André Delvaux, e tra il 1992 e il 1993 gira due film in America Latina: Funes, un gran amor di Raúl de la Torre e Tiranno Banderas di José Luis García Sánchez.
Il 6 dicembre del 1994, durante le riprese a Florina, in Grecia, del film di Theo Anghelopoulos Lo sguardo di Ulisse, Gian Maria Volonté muore improvvisamente per un infarto: il film, che il regista dedica alla sua memoria, vincerà la Palma d’oro a Cannes (1995) ex aequo con Underground di Emir Kusturica. L’ex direttore della casa del cinema Felice Laudadio, ricordandolo, lo definirà “il più grande attore italiano del suo tempo”.
Le spoglie di Volonté riposano, come voleva, sotto un albero nel piccolo cimitero de La Maddalena: l’isola sarda, molto amata dall’attore, è anche sede del prestigioso premio Gian Maria Volonté, nell’ambito del Festival La Valigia dell’attore, di cui la figlia Giovanna Gravina è una delle storiche animatrici. Nel cuore di Roma, invece, ha sede la Scuola di cinematografia che porta il suo nome.
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