Mario Brenta, Stefano Incerti, Alex Infascelli, Vincenzo Marra, Riccardo Milani, Francesco Martinotti, Marco Ponti, Andrea Porporati, Marco Puccioni, Eros Puglielli, Spiro Scimone, Paolo Sorrentino, Carola Spadoni, Vincenzo Terracciano, Daniele Vicari per non citare che i giovanissimi registi. Ma anche i coetanei attori Fabrizio Gifuni, Chiara Caselli, Francesca D’Aloja e i produttori Fabrizio Mosca, Umberto Massa, Laurentina Guidotti, Donatella Botti; lo scrittore Niccolò Ammaniti.
Quasi tutta la nuova leva del cinema italiano una volta tanto partecipe e protagonista del convegno sul cinema “Creatività e produzione” promosso nell’ambito del Festival europeo di Viareggio, un genere di appuntamenti che solitamente i nati negli anni ‘60 ignorano (o per delega o per diffidenza).
E dunque un dialogo in larga parte inedito: fra di loro intanto molti autori di “prime opere” nemmeno si conoscevano se non per nom) e con appena meno giovani artisti (Giuseppe Piccioni, Maurizio Sciarra, Maurizio Nichetti, Alessandro Haber) e produttori (Mariella Li Sacchi, Matteo Levi, Rosanna Seregni, Carlo Brancaleoni responsabile delle opere prime di Rai Cinema e Aurelio De Laurentiis, presidente dell’Unione produttori dell’Anica). Presente anche una pattuglia di più anziani, fra loro la signora del cinema italiano, sempre militante e mai assente da ogni discussione che conta: Suso Cecchi D’Amico.
A introdurre il dibattito tre autorevoli testimoni delle esperienze straniere: il direttore della spagnola ICAA Josè Maria Otero, il vicedirettore del francese CNC Xavier Merlin e il consigliere del Fondo di investimento lussemburghese e esperto di tax shelter della Communauté française del Belgio Henri Roanne, più due italiani, il direttore generale del cinema del nostro ministero della Cultura Rosanna Rummo e il critico ed ex presidente dell’Istituto Luce, Angelo Guglielmi.
Nel complesso i giovanissimi si sono mostrati piuttosto omogenei negli orientamenti, e comunque uniti nel rifiutare ogni ipotesi di crisi del cinema italiano. Negli ultimi tempi, anzi – hanno detto tutti – sono emersi dinamismo e molta ricchezza. In crisi è piuttosto il meccanismo che regola il sostegno pubblico, scarso e privo di quella continuità che invece caratterizza altri sistemi, a cominciare da quello francese, e oggi comunque bloccato. Se nuove leggi si devono fare dovrebbero seguire l’esempio della Francia, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza del ruolo che il cinema gioca.
E perciò prelievo dei fondi necessari all’aiuto automatico dalla tassazione degli ingressi, impegno della televisione nel reinvestire una quota certa e adeguata nella produzione europea e nazionale, stop alla crescente concentrazione nella distribuzione e oramai anche nell’esercizio, rifiuto di una logica puramente commerciale, che porta a recepire così come sono i gusti del pubblico: la domanda di qualità matura se ci si impegna a farla maturare.
Buona è stata trovata anche l’idea belga di scuole di cinema che siano anche ateliers, una sorta di incubatrici per chi affronta la professione. Accesa la discussione soprattutto sui contenuti creativi. Esiste una tendenza comune fra i nuovi registi? Guglielmi ha suggerito una definizione: l’epica dell’intimo. Ma i giovanissimi non si sono ritrovati in questa tendenza, già secondo loro in qualche modo datata (e cioè propria ai film di Piccioni, Soldini, Muccino, Ozpetek, non a quella delle opere prime del dopo 2001).
Semmai si vanno affermando registi che hanno il coraggio di raccontare la realtà anche se brutta. Ma forse è troppo presto per parlare di movimenti culturali, di modi collettivi di espressione.
Il dibattito continuerà e ne usciranno anche documenti rivisti e ridiscussi da tutti i partecipanti.
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