Strane coincidenze accompagnano il nuovo film di Gabriele Salvatores tratto da “Come Dio comanda” l’ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti, una coproduzione Rai Cinema e Colorado Film. La prima è che proprio questo scrittore figura tra i tredici candidati, oggi annunciati, in gara per il Premio Strega. La seconda è che a Cannes si celebra il trentennale di Padre padrone dei fratelli Taviani, un altro film che affrontava la storia di un difficile rapporto tra padre e figlio. Lo stesso tema, in un altro contesto sociale quello di una periferia metropolitana degradata, che racconterà Salvatores. Protagonisti Cristiano, un ragazzino di 11 anni, e suo padre Rino disoccupato, emarginato e violento, rimasti soli dopo l’abbandono della madre, tenuto sotto controllo dall’assistenza sociale che minaccia di revocargli la custodia del figlio.
Salvatores ha già un’idea di come sarà il suo film?
Innanzitutto una storia serratissima, un film di genere, quasi un thriller. Come in Io non ho paura al centro della narrazione c’è il rapporto d’amore forte e intenso tra un padre e un figlio. Un padre che vuole bene, ma che è un personaggio pericoloso, un po’ disturbante. Tra di loro prevale un forte senso di protezione e io, che non ho figli, invidio questo rapporto caratterizzato dalla grande capacità d’amare che il padre ha verso il figlio. E’ l’amore di un lupo, che di solito mostra i suoi denti e ti fa paura, ma ha anche la dolcezza dello sguardo verso i piccoli.
Quando e dove girerà?
Entro la fine dell’anno e nel Nord Italia, perché lo scenario sarà l’opposto di quello caldo e afoso di Io non ho paura. Pioggia, neve, tanto freddo e poi strade statali, centri commerciali, fiumi, acquitrini. Una landa desolata dove si agitano personaggi quasi shakespeariani.
Quale sarà il cast?
La scelta degli interpreti è difficile, cerco un padre di 35/40 anni e un ragazzo di 14 che riescano ad esprimere questo loro rapporto non stereotipato, devono infatti avere quel cuore che anima le loro giornate. Non è facile scegliere tra i nostri bravi attori, mi occorre qualcuno che esprime l’essere selvaggio. E non è detto che siano italiani.
Che cosa ha sacrificato di un libro così ricco?
Abbiamo puntato al nucleo emotivo più forte della storia e purtroppo abbiamo rinunciato ad alcuni personaggi che erano divertenti ed ad altre storie minori parallele. La sceneggiatura è firmata da Niccolò e Antonio Manzini, in parte vi ho collaborato, ma mi piace scindere le responsabilità in un film.
Come mai si rinnova il sodalizio con Ammaniti?
Niccolò ha molta fantasia e poi essendo un biologo ha una grande capacità d’indagine sui comportamenti. Nelle storie da lui narrate c’è sempre qualcosa di molto forte e inquietante e poi tanta poesia. Il suo è uno sguardo disincantato, ma etico e pieno d’affetto. E poi mi diverto tanto a lavorare insieme, ridiamo molto.
In Io non ho paura la macchina da presa era ad altezza dei bambini protagonisti, e qui?
Immagino inquadrature con molta aria sopra la testa e anche uno sguardo dall’alto.
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