“L’idea è sempre quella di scrivere un prodotto che possa essere assoluto e Freud aiuta, con prassi famigliari, sentimentali, psicologiche: abbiamo cercato di non raccontare dinamiche umoristiche proprie solo del nostro Paese, infatti credo che questo sia un prodotto godibile non solo per noi, e Amazon ti dà l’occasione di farti vedere in giro per il mondo” spiega Paolo Genovese, che di Tutta colpa di Freud – la serie ha la paternità dell’idea – dal suo film – ed è supervisore artistico, oltre che co-soggettista e co-sceneggiatore, con Chiara Laudani e Carlo Mazzotta, ma non regista, infatti “Non ho deciso di dirigere perché penso sia importante cambiare punto di vista e mi piaceva vedere come qualcun altro lo facesse, e Rolando Ravello è un regista estremamente capace di raccontare le relazioni umane, e per autore è molto stimolante guardare come qualcun altro racconti le sue storie. Non c’è nulla di autobiografico, io parto dall’idea di non far film autobiografici perché il rischio può essere la noia, il fare l’effetto dei filmini delle vacanze, quindi rifuggo abbastanza: c’è sempre una rielaborazione esterna con la costruzione di personaggi assoluti, non mi diverte la troppa identificazione con la mia vita”, dice Genovese.
Sulla scia delle molte assonanze con il film del 2014, seppur qui adattate per restituire la giusta autonomia al nuovo progetto seriale, prende così via Tutta colpa di Freud – la serie, permettendo al pubblico che s’era appassionato alla leggerezza e tenerezza del film di rintracciare quegli elementi che hanno reso il lungometraggio amabile, e che qui – con l’opportunità di una narrazione più diluita, e con nuovi elementi narrativi e escamotage di sceneggiatura – può individuare un godibile rinnovo dal punto di vista dell’intrattenimento.
La trama pone al centro Francesco Taramelli – Claudio Bisio (assente alla presentazione stampa causa Covid, per cui confermano un decorso tranquillo, ndr), psicanalista, milanese (rispetto al romano Marco Giallini, nel film), che da tempo concilia la professione con il mestiere di papà single: la moglie, algida nordeuropea, ha pensato che lui meglio avrebbe cresciuto le tre figlie, in quanto lei giramondo impegnata in battaglie ambientaliste.
Le più grandi, Marta e Sara (Marta Gastini e Caterina Shulha), vivono già fuori casa, e la più piccola, Emma (Demetra Bellina), sta partendo per un anno di studio all’estero: Francesco viene colto da un improvviso attacco di panico, talmente potente da fargli pensare di avere un infarto. Naturalmente sopravvive, ma la sera stessa si ritrova tutte e tre le figlie di nuovo a casa, soprattutto perché a ciascuna la propria situazione personale è chiaramente sfuggita di mano: Marta, assistente universitaria, porta avanti da anni una relazione con il suo preside di facoltà ed è stata appena sbattuta fuori dalla casa che lui le affittava, dalla moglie; Sara, imminente il suo matrimonio, tradisce il fidanzato storico con Niki, la donna che le sta curando i preparativi, lasciando così emergere quell’omosessualità che già aveva fatto capolino nell’adolescenza; infine Emma, sagace influencer in erba, rinuncia al viaggio studio londinese, complice l’incontro Claudio Malesci (Luca Bizzarri), titolare di una famosa agenzia web, tipo affascinante nei suoi brillanti cinquant’anni. E poi c’è lo “zio” delle fanciulle, Matteo (Max Tortora), dirimpettaio dei Taramelli, simpatico romano trapiantato nel capoluogo lombardo, nostrano Casanova in “divisa” da NCC.
Rolando Ravello – non digiuno dall’adattamento da film a serie, già masticato con Immaturi – la serie – e con quella sensibilità che era spiccante sin dal suo primo film, Tutti contro tutti, raccoglie con efficacia l’eredità dell’opera filmica di Paolo Genovese, apportando il proprio tocco di visione nelle scelte puramente cinematografiche della messa in scena, in cui gioca vivacemente con una bella Milano, quella recentissima dei grattacieli e dei quartieri di respiro europeo, e quella più classica e romantica dei Navigli, usando così la collocazione cittadina non solo come spazio urbano, ma anche come spunto poi narrativo per dar eco ad alcuni ironici luoghi comuni, dal traffico alla perenne fretta, a cui fa non raramente da contraltare proprio il personaggio cui dà vita Tortora: “Il primo ciak con Bisio: era come se lavorassimo insieme da anni – mentre era la prima volta che s’incontravano -, abbiamo scoperto il reciproco amore per l’improvvisazione: le differenze tra Milano e Roma, non le ostilità, dunque un approccio soft e in amicizia, sia dei personaggi che degli attori, sono state differenze che hanno spesso aiutato l’altro a mettersi in carreggiata. A volte il mio personaggio diventa – involontariamente – psicanalista anche lui, il consiglio amichevole si trasforma in una diagnosi: Matteo ha portato con la sua macchina tante persone, la psicologia della gente la conosce, la coglie di primo acchito, e sembra sia lui lo psicanalista del momento”.
“Raccontare una città come Milano è quasi desueto, poiché di recente ricorrono Roma e la Puglia: girare a Milano era un po’ una novità e ha consentito l’ingresso nella serie del personaggio di Max Tortora, che con Bisio sono riusciti a raccontare con ironia sorniona le due grandi metropoli, costruendo una coppia comica”, spiega il regista, che continua precisando di aver girato: “con due macchine da presa, improvvisando tanto: più che altro dovevo inseguire con la macchina l’improvvisazione”.
“La serie – 8 puntate da 45 minuti – nasce da un film per cui avevamo una sceneggiatura lunghissima, tagliata molto e già durante il film ci eravamo resi conto sarebbe stata giusta per approfondire una serie: poi, tre anni fa Mediaset cercava ‘un family’ e così hanno deciso di raccontare in più puntate; quando si fa una serie da un film, si fa perché è piaciuto al pubblico, e il film aveva avuto una grossa accoglienza, con ancora respiro. Dal film, rimane la figura del papà single e psicanalista, abbracciata da una serie di figure che lo proteggono, per cui, nella serie, si rintraccia l’idea, ma la drammaturgia si discosta molto dall’originale”, precisa Paolo Genovese.
Un’idea che, come nel film, anche qui punta molto sui ruoli femminili, in particolare quelli delle tre figlie: “Marta è sempre un pochino lenta e insicura, sulla carta la figlia perfetta, ma in realtà quella che fa la scelta sbagliata, tranne quando incontra la persona che può darle l’amore stabile. Io ho una mia idea di femminismo, che non significa lottare in maniera cieca affinché la donna ‘riesca’: piuttosto, sono perché le donne lottino affinché ciascun individuo abbia i diritti che merita; nel caso della serie, Marta avrebbe dovuto ricevere il riconoscimento universitario, ma sono entrati in gioco meccanismi di una relazione personale che l’hanno penalizzata; oggi credo che pian piano le capacità delle donne siano più riconosciute e mi auguro lo siano sempre di più”, dice Marta Gastini, una delle tre sorelle di Tutta colpa di Freud – la serie, su Amazon Prime Video dal 26 Febbraio 2021 e in autunno su Canale 5.
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