“C’è un grande rispetto, oltre che chiaramente umano, dato che mio fratello è il mio migliore amico, anche artistico, perché mio fratello Fabio è il miglior regista che ho incontrato nella mia vita”: così Damiano D’Innocenzo, ospite insieme a suo fratello Fabio, alla XXVIII edizione del festival salernitano Linea d’Ombra Festival 2023, in conversazione con il co-direttore artistico Boris Sollazzo e con il pubblico in sala e on line di Linea d’Ombra.
Tre film all’attivo – La terra dell’abbastanza, Favolacce e America Latina, e una serie che deve ancora arrivare, prossimamente su Sky, Dostoevskij, con protagonista Filippo Timi “un attore eccezionale, che ha dato tutto, emotivamente e anche fisicamente, ha perso 15 chili per entrare in questo personaggio. Siamo stati sei mesi sul set, ma non è stata mai una fatica. Eravamo stanchi il giorno dopo avere finito perché ci mancava. Sky ci ha dato carta bianca, ci ha permesso di fare tutto quello che volevamo, forse alla fine non la vedrà mai nessuno perché è troppo cupa”, dicono ovviamente scherzando.
Resta avvolto nel mistero uno dei progetti più attesi del 2024, ma la conversazione offre l’occasione per scoprire qualcosa in più sui gemelli romani, partendo proprio dal tema dell’edizione di quest’anno di Linea d’Ombra, Cha(lle)nge, fortemente voluto dai direttori artistici Giuseppe D’Antonio e Boris Sollazzo.
“Questa crasi che avete scelto tra sfida e cambiamento” è Damiano a parlare “ci fa pensare che la nostra sfida, è quella di non cambiare, di restare come eravamo 5 anni fa e come siamo adesso. È difficile non lasciarsi sedurre dalle sporadiche sirene dell’industria del cinema italiano, che ti dice che sei già arrivato, che sei già un maestro, e tutte le altre cose che di noi scrivono, e non é che non ci piacciano le carezze, ma noi siamo fatti a modo nostro, siamo quelli senza scuole di cinema, nati senza, tra virgolette, i genitori giusti, ci siamo sempre dovuti meritare tutto. Per tanti anni abbiamo fatto i ghost writer, che significa che scrivi un copione e poi sparisci quando c’è da incassare i soldi e vedere il tuo nome a fine film, e sono giorni, mesi, anni che non voglio dimenticare. Per come Fabio e io intendiamo il cinema, quindi un atto di coraggio, crediamo sia il sentimento migliore”.
“Ovviamente i genitori sono giustissimi per quelli che sono i figli” gli fa eco Fabio. “Ci hanno insegnato l’arte dello stare al mondo, e ci vuole una grandissima ironia. Con La terra dell’abbastanza siamo andati sul set senza avere consumato il rapporto sessuale col cinema, vergini. Adesso siamo nella fase del palpeggiamento, del sesso orale, e rivendichiamo questa forma che non è dilettantismo, ma purezza e non omologazione. A volte ci sentiamo imbucati alla festa, ma è un sentimento piacevole, ti costringe a guardare, ad accettare il fatto che si può fare qualcosa di bello soprattutto perché si è fuori luogo. Abbiamo fatto un percorso che somigliava a noi, nelle fortune, nelle sfortune”.
I fratelli D’Innocenzo sono delle schegge impazzite nel panorama cinematografico italiano che “negli anni 90 fino all’inizio anni 2000 ha avuto 15 anni mortiferi, era italiano ma non era cinema. Noi eravamo molto supponenti, e lo siamo ancora rispetto al 97% dei registi conosciamo, ma per una ragione molto solida, ovvero che non c’è rispetto di fronte a quanto si può essere privilegiati. È importante alzare la mano e dire voglio raccontare una storia e chi ha la possibilità di farlo deve averla questa storia, ci pare il minimo indispensabile”.
Aperti, senza paura delle loro idee e delle loro opinioni, sinceri, anche spiazzanti, come quando confessano di “avere inseguito Aldo Baglio. Non ci fa ridere quando lavora nel trio con Giovanni e Giacomo, ma ha una faccia stupenda e gli abbiamo sempre proposto ruoli tragici. E lo stesso abbiamo fatto con Checco Zalone, è un attore fantastico, ma ci ha sempre detto no”.
Chissà che prima o poi non accetti, per creare un corto circuito incredibile nel cinema italiano contemporaneo insieme a questi due ragazzi di 34 anni che in cinque stagioni hanno conquistato la critica internazionale, ma che restano due fratelli con la passione per il cinema, la letteratura e la Roma. “Avevamo proposto ai Friedkin di fare la regia delle partite della Roma, non ci hanno mai risposto”. Peccato, sarebbe una bellissima favolaccia.
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