Forest Whitaker: le mie origini africane


Chi non lo ricorda nei panni del tranquillo e spietato killer samurai di Ghost Dog di Jim Jarmusch? O in quelli del prigioniero in La moglie del soldato di Neil Jordan? Dopo aver dato vita a personaggi memorabili – ed aver fatto un’incursione nella Città Eterna per girare, nel 2005, Mary di Abel Ferrara – ora Forest Whitaker convince tutti con l’intensa interpretazione del dittatore ugandese Idi Amin, uomo di potere carismatico e sanguinario, ispirato e trascinatore quanto paranoicamente insicuro e, quindi, selvaggiamente crudele. Con il suo ruolo in L’ultimo re di Scozia di Kevin MacDonald (alla prima regia “narrativa” dopo i documentari La morte sospesa e One Day in September, che gli valse l’Oscar nel 2000), l’attore texano è tra i superfavoriti per la vittoria della statuetta come miglior attore protagonista, insidiato da vicino da un altro interprete afroamericano, il Will Smith di La ricerca della felicità . Whitaker – che vedremo presto in Where The Wild Things Are di Spike Jonze e nell’insolito ruolo de “la Felicità” nel film corale The Air I Breathe con Kevin Bacon (l’Amore) e Brendan Fraser (il Piacere) – racconta la sua esperienza di attore afroamericano alle prese con un personaggio che lo ha riportato a esplorare le sue origini.

Che cosa l’ha convinto ad accettare il ruolo di una figura così imponente e per molti versi contraddittoria?
Essendo di origine africana ho considerato una fortuna la possibilità di approfondire la cultura ugandese, che grazie al film è diventata parte della mia anima. Ho preparato il film a Los Angeles prendendo lezioni di swahili e poi studiando documentari, telegiornali e articoli che parlavano di Idi Amin. Ho anche letto alcuni suoi discorsi, che teneva nei vari dialetti, per entrare al meglio nel personaggio. Una volta arrivato in Uganda, poi, ho incontrato parenti, amici, ragazze e generali che sono stati al fianco del dittatore negli anni, in modo da assorbirne cultura, abitudini e stili di vita.

Ha costruito un personaggio molto complesso, restituendone i lati oscuri ma anche il grande fascino.
Ho studiato molto il suo carattere e la sua vita. Era un uomo venuto dal nulla, determinato e affascinante, che è riuscito ad ingannare il mondo intero dando di sé un’immagine positiva. La stampa lo amava moltissimo; il giornalista londinese Jon Snow, che l’ha conosciuto molto bene e l’ha intervistato decine di volte, ha ammesso di essere stato anche lui obnubilato dal suo carisma, e si è rammaricato di non aver mai scritto nulla delle sue atrocità. Amin era abilissimo nel motivare le persone, nel farle sentire speciali perché ammesse in una cerchia di eletti, come accade per il giovane scozzese del film.

Quale la migliore descrizione di Idi Amin?
Era soprattutto un soldato. Anche nelle sue azioni da presidente emergeva la sua natura di militare, e forse è proprio questa che l’ha portato a diventare così feroce. Quando era un soldato gli venivano indicati i nemici da combattere, ma quando ha assunto il potere, ha dovuto individuarli lui stesso, e l’ha fatto con una certa ingenuità. Inizialmente i suoi propositi di cambiamento dell’Uganda erano in buona fede, ma poi ha preso decisioni importanti senza valutarne le conseguenze. Tuttora in Uganda la maggior parte delle persone riconoscono che ha cercato di rendere più fiero, indipendente e libero il suo popolo, ma contemporaneamente ammettono che ha commesso molte atrocità.

Tra gli sfidanti alle presidenziali americane c’è il candidato nero Barack Obama e in corsa per l’Oscar ci sono diversi attori afroamericani. Si apre una fase più favorevole per la comunità nera americana?
Obama ha buone possibilità di vincere, perché si esprime in modo chiaro e onesto ed è sostenuto da diversi settori. Ma credo che la strada sia stata già aperta dalla presenza nel governo di Condoleeza Rice e di Colin Powell. Come anche per il cinema, siamo nel mezzo di un processo di evoluzione che porterà ulteriori aperture per gli afroamericani. La gente si sta abituando a storie e volti diversi, sta imparando ad apprezzare tutti i colori dell’umanità.

Cosa si aspetta dalla notte degli Oscar?
Gli attori candidati nella mia categoria hanno dato vita a delle performance eccezionali. Tutti hanno cercato di dire qualcosa: Will Smith ha parlato dei senzatetto, Leonardo Di Caprio del commercio di diamanti, Peter O’Toole della vecchiaia e Ryan Gosling della capacità di dare qualcosa pur riconoscendo i propri difetti. Mi auguro semplicemente di trascorrere una serata piacevole con gli amici e le persone a cui voglio bene. Sono già contento, perché è raro veder riconosciuto il proprio lavoro a questi livelli.

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15 Febbraio 2007

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