FIRENZE – “Io qui sono di casa, vengo da quarant’anni in questo festival con i miei film!”
Accolta da un caloroso applauso dal pubblico fiorentino, Margarethe von Trotta introduce così il suo Ingeborg Bachmann: Journey Into the Desert, l’opera che nel 2023 ha dedicato all’affascinante figura della poetessa austriaca scelta come film d’apertura del Festival di Cinema e Donne, giunto quest’anno alla sua 45ma edizione (leggi qui il nostro articolo sul festival). A dialogare con la regista, attrice e sceneggiatrice tedesca è Piera Detassis: “Margarethe von Trotta è la prima donna ad aver ricevuto il Leone D’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia” (1981), ci tiene subito a ricordare il Presidente e Direttore Artistico dell’Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello.
L’occasione è doppiamente speciale, perché l’omaggio alla cineasta tedesca è stato in primo luogo voluto dall’Università degli Studi di Firenze, che nel primo pomeriggio le ha dedicato il convegno “Hannah, Ingeborg, Rosa e le altre: il cinema di Margarethe von Trotta”, per poi conferirle, venerdì 22 novembre, la Laurea Magistrale Honoris Causa in Lingue e Letterature europee e americane.
“Il nostro festival è nato nel 1979 da un’idea di Paola Paoli e Maresa D’Arcangelo, che non solo hanno portato a Firenze la parte più interessante del cinema al femminile, ma hanno trasmesso alle nuove generazioni e al pubblico la storia e le storie del cinema che volevano raccontare”, ricorda la direttrice artistica Camilla Toschi. “Sono tantissime le ragazze e i ragazzi passati da questo festival, tante le cineaste e in particolare le registe che hanno avuto qui il loro primo passaggio sul grande schermo, quando ancora nessuno le conosceva”.
Il discorso si sposta subito sul film che sta per essere proiettato: “La novità è che per la prima volta entra anche un uomo al centro di una mia storia: la coppia Ingeborg Bachmann – Max Frish”, continua von Trotta. “La cosa mi ha interessato molto, perché lei, che era in qualche modo una femminista ante-litteram, voleva però essere ‘protetta’ da un uomo, ma nello stesso tempo restare libera e indipendente. Per lui, che aveva diversi anni in più, pur essendo uno scrittore affermato e sicuro di sé, lei rappresentava un mistero assoluto, e capì che non era pronto a capirla, ad accettare la sua libertà”.
Quindi la chiacchierata si sposta più in generale alla vita e alla carriera della regista, facendosi ancora più appassionante quando passa al racconto di come è arrivata ad affermarsi come tale in quegli anni.
“Io il vero cinema l’ho conosciuto a Parigi, molto diverso da quello che avevamo negli anni ’50 in Germania, che non valeva niente…”, prosegue. “In Francia ho incontrato studenti appassionati cinefili, lì era già nata la Nouvelle Vague. In quel gruppo di ragazzi c’erano solo uomini e con loro Agnès Varda, ma nessuno faceva caso al fatto che tra loro ci fosse anche lei, una donna che faceva già cinema. Adesso sì, lo sappiamo che lei era l’avanguardia di tutte noi che cercavamo di farlo. Quindi fu proprio lì, a Parigi, che vidi Il Settimo Sigillo di Bergman allo storico cinema ‘Le Champo’, e decisi che volevo un giorno fare del cinema, anche se allora non era concepibile per una donna. Tornata in Germania studiai all’Università, poi presi lezioni di recitazione, e cominciai a fare l’attrice in teatro e al Cinema… con quella speranza che non so da dove venisse, di riuscire a girare prima o poi un mio film. Poco dopo ho incontrato Volker Schlöndorff e ho iniziato a scrivere sceneggiature con lui, che alla fine mi ha lasciato ‘generosamente’ (ride) fare un mio film… Comunque non sono stata la prima regista donna in Germania, ce n’erano diverse… anche se forse sono stata la più ‘dura’ a resistere”.
Gli applausi si fanno via via più frequenti e l’atmosfera in sala si è decisamente riscaldata: del resto, oltre all’empatia per un’ospite così carismatica e ‘fedele’ negli anni, non è un caso che questo sia il festival dedicato alle registe più longevo d’Italia, fonte di ispirazione per tante altre manifestazioni in Europa dedicate a un cinema focalizzato sulla parità di genere.
“È stato decisivo per me crescere con solo mia madre a farmi da genitore, perché mi ha insegnato a essere indipendente”, continua Margarethe Von Trotta. “Lei che non si era mai sposata, diceva che non avrebbe mai potuto sopportare di dipendere da un uomo. Quindi sono cresciuta con questa voglia di essere libera, anche se negli anni ’50 e ’60 non era facile poi mantenerlo, uno spirito libero. Ora, con questo festival al femminile ne abbiamo fatto di strada, ma non è ancora abbastanza: basta guardare all’elezione di Trump in America, lui non ama le donne e quelli che lo hanno votato sono soprattutto machisti, stiamo tornando tanto indietro, di nuovo… Che storia vorrei raccontare oggi? In questa epoca è difficile raccontare, è più facile ‘disperare!’”.
“Di quale film sono più orgogliosa? Io non sono orgogliosa, non è proprio il mio carattere”, taglia corto la regista. “Sono stata molte volte contenta, ma è una cosa diversa, ad esempio sono stata contenta di fare un nuovo film, o di tornare a questo meraviglioso festival, ma cosa vuol dire l’orgoglio? Ecco, sono stata per la prima volta felice quando a Venezia ho preso quel Leone d’Oro con Anni di piombo: non me lo aspettavo per niente, per me era un miracolo! Ecco, appunto, la felicità la conosco, ma non l’orgoglio”.
Detassis, tuttavia, non crede minimamente che la cineasta non abbia nuovi progetti in mente dopo questo film, e insiste ancora una volta.
“Ho già scritto una sceneggiatura, ma Nanni Moretti una volta mi ha detto ‘non devi mai raccontare la storia del tuo prossimo film, altrimenti non lo fai’, perciò non posso raccontarla… Se sarà un film dedicato all’attualità? Sì, perché se vivi nella realtà vedi delle cose che fanno davvero paura. Io ho paura adesso. Ma anche voi avete paura, vero?” – chiede von Trotta al pubblico, che risponde con un coro di ‘sì’.
“Se il cinema può combattere questa paura? Certo, bisogna sempre tentare di fare qualcosa, non bisogna lasciarsi andare, o magari dire ‘non serve più a niente’…”, chiosa la regista. “Si deve andare avanti malgrado tutto, come hanno fatto in tanti… anche Rosa Luxemburg, anche se poi è stata assassinata. Meglio essere assassinati che rinunciare ad avere…un po’ di coraggio, nonostante tutto!”
In occasione della proiezione di Ingeborg Bachmann: Journey Into the Desert, il festival rafforza la sua collaborazione con Corri La Vita, il progetto nato nel 2003 a sostegno delle donne colpite dal tumore al seno. L’incasso della serata è interamente devoluto all’Associazione per la lotta contro il tumore al seno, contribuendo a finanziare iniziative per la prevenzione, la diagnosi precoce, la cura e il supporto psicologico delle pazienti.
Il programma quotidiano del festival è disponibile a questo link
Le foto di Margarethe von Trotta, Piera Detassis e Camilla Toschi contenute in questo articolo sono di Ilaria Costanzo
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