VENEZIA – Fanny Ardant è una Marianna della recitazione (francese), una Signora del cinema d’Oltrape e mondiale, che per Roman Polanski ha fatto sue “la stupidità, la follia, un condensato di vita e di energia” della marchesa – corredata di chihuahua che alla neve preferisce il piumone per espletare i propri bisogni – protagonista nel corale The Palace (leggi il nostro articolo).
Con Luca Barbareschi – anche produttore, oltre che interprete (della vecchia porno star Bongo) -, Joaquim De Almeida nei panni del chirurgo plastico Dottor Lima, Mickey Rourke per Mr. Crush, il concierge Fortunato Cerlino e il direttore d’albergo Oliver Masucci, Fanny Ardant per il suo personaggio non ha avuto una fonte di ispirazione ma “sono partita dal gruppo sociale perbenista, in cui la mia marchesa non era una nuova ricca perché nobile, con la sua dolce follia; e Roman si attacca ai particolari, che fanno funzionare tutto il resto. Conoscevo benissimo il suo modo di fare: diretto, attivo, categorico. Lo conoscevo già per essere stata diretta sul palco teatrale, come Callas. Ho ritrovato la gioia di lavorate con un uomo appassionato, con la ricerca dell’assoluto e dei particolari. Con lui si pensa che essere su un set sia un privilegio e che questo tempo non tornerà mai. Non avevo mai recitato una parte come quella di questa donna: mi sono divertita. Ricordo che per la Callas, per cui uscivo sul palco con le braccia distese e aperte in avanti, mi disse: ‘non ti presentare così, sembra un Cristo’, insomma bastava cambiare un gesto, ecco… i dettagli”.
Racconta, ancora, Roman Polanski come “autorevole perché si interessa a tutto, si immerge in tutto, si butta, non ha mai paura di essere esagerato. Questo mestiere – al di là dell’industria – deve rimanere un gioco, e così il suo fascino viene dalla vitalità, non molla mai. E se tu non sei d’accordo con lui, parte con la dialettica e, soprattutto, parte dal punto di vista che tu sia intelligente, ti parla contando tu sia ricettivo e questo fa parte del fascino”.
Se nel nostro cinema si soffre la rarità di ruoli femminili efficaci, la signora Ardant, parlando della Francia spiega che “non è così, perché in Francia – nella tradizione della letteratura e del cinema – la donna è sempre stata messa al centro, che fosse per il suo dolore o la sua ambizione. La donna in Francia è sempre al centro del discorso”. Non c’è un suo personaggio a cui si senta più legata perché “ho amato quasi tutte le donne recitate. Il mio unico lusso è aver fatto le cose che amavo. Sono stata molto segnata dalle grandi eroine greche, per me esempi, nel bene e nel male, e non mi piacciono le donne perfette: ho amato Medea, Cassandra, Clitemnestra, quelle che non piacevano agli uomini”.
E, il centro del discorso, rispetto al film di Polanski, è invece la bruttura dell’essere umano, la decadenza del mondo contemporaneo, in particolare sentita in quella notte misteriosa del passaggio di millennio, nel capodanno tra il 1999 e il 2000, in cui è collocata la storia. “Io ho una visione pessimista del mondo ma non dell’Uomo. Nella Storia ci sono sempre state tragedie sulla fine della civiltà, e penso possa rimanere intatto solo il singolo essere umano, che può dire: ‘no’. Mi piace che la libertà interiore sia imbattibile”, continua Ardant, per cui la mostruosità del presente vive “nell’avidità, nella cupidigia, nel voler sempre di più: per cosa? Per niente. Trovo stupido un mondo che chiede al bambino: ‘chi ammiri?’ E che lui risponda il nome di qualcuno ricco. Penso sempre al vitello d’oro: l’unica cosa che la gente adora sono i soldi. Nel film, poi, non c’è nessuna posizione politica ed era bello il dibattito sul cambio del millennio, ma in quel luogo lì non c’era”.
Infine, cominciando dal principio, Fanny Ardant conferma che la famiglia non volesse facesse l’attrice: “perché mi amavano, per protezione. Quello dell’attrice è un mondo che scivola, non è mai un porto sicuro, ma poi mi hanno lasciata fare, ma grazie a loro ho fatto anche studi universitari” e, dell’indimenticabile Zeffirelli, che l’ha diretta in Callas Forever, dice: “amavo la sua intelligenza, la furbizia, aveva il suo umore: veloce. Per interpretare la Callas puoi sentirti ridicola, ma con lui, che l’aveva conosciuta e diretta, mi sentivo anche protetta, come con Roman Polanski”.
di Nicole Bianchi
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